Il confine dei silenzi
Viviana Picchiarelli

È uscito in tutte le librerie Il confine dei silenzi (Bertoni Editore), il nuovo romanzo di Viviana Picchiarelli, autrice umbra che da anni esplora la Women’s Fiction, raccontando storie di donne forti, ma mai scontate. In queste pagine, la sordità non è solo una condizione fisica, ma un simbolo di quella solitudine che molte donne conoscono bene: una barriera invisibile contro cui si scontrano sogni, desideri e relazioni. Una narrazione che si addentra nelle pieghe del pregiudizio e della lotta per la propria identità, mettendo in luce la tenacia di chi rifiuta di arrendersi.

La protagonista di Il confine dei silenzi è Clara Rossetti, psicoterapeuta sorda, che decide di sfidare il sistema di potere che da anni domina il paese immaginario di Terravecchia del Monte. Questo borgo, che racchiude in sé le contraddizioni della piccola e media provincia italiana, è un microcosmo dove tradizioni secolari e dinamiche familiari determinano la vita di tutti. Clara si candida a sindaco per spezzare il dominio della famiglia Cairoli, una potente dinastia di politici e imprenditori.

Sostenuta dal padre Attilio e dall’amico di sempre Dario, Clara si trova a confrontarsi non solo con Glenda Cairoli, richiamata da Milano per affrontarla, ma anche con Federico, il fratello di quest’ultima, messo da parte e deciso a sabotare ogni sua mossa. Tra rivalità, lotte di potere e il peso di un passato che non vuole essere dimenticato, Clara dovrà sfidare un sistema che l’ha sempre tenuta fuori dai giochi.

Nel cuore della campagna elettorale si intrecciano rancori familiari, ferite mai sanate e riflessioni profonde sul significato del silenzio: quello imposto dagli altri, quello scelto come difesa e quello che diventa strumento di lotta politica. Sullo sfondo, un’Italia di provincia che sembra immobile, ma che in realtà è attraversata da tensioni sotterranee e desideri di cambiamento.

Il confine dei silenzi è una narrazione corale in cui ogni personaggio è chiamato a fare i conti con il passato, con le proprie fragilità e con il bisogno di riscatto. Una scrittura che unisce introspezione e tensione narrativa, con una forte valenza civile.

Il confine dei silenzi
In occasione di una sua presentazione

L’INTERVISTA
Benvenuta su “La Voce del Nisseno”. Cara Viviana, il titolo del tuo nuovo romanzo, Il confine dei silenzi, sembra suggerire un confine che riguarda più chi ascolta che chi parla. Qual è la relazione tra silenzio e voce nel tuo libro?

Grazie a te, Ilaria, per avermi concesso questa occasione. Il silenzio nel mio romanzo è uno spazio vivo, mai vuoto. È il luogo in cui si accumulano le parole non dette, i pensieri censurati, le identità negate. Per Clara, la protagonista sorda, il silenzio non è soltanto una condizione fisica: è un campo di battaglia, un territorio che le appartiene e che lei trasforma in forza. Non è la voce in sé a fare la differenza, ma la capacità di reclamare il proprio posto, di esistere e di essere ascoltati nonostante tutto. Nel libro, la sfida più grande non è rompere il silenzio, ma scardinare l’indifferenza di chi ascolta senza davvero sentire.

Che rapporto hai con i social?
Sono su Facebook dal 2008 e il mio modo di viverlo è cambiato molto nel tempo. All’inizio mi lasciavo coinvolgere di più, partecipavo con slancio e curiosità. Negli ultimi anni, invece, ho sentito il bisogno di rallentare, di essere più selettiva e consapevole. I social restano una finestra utile per osservare e confrontarsi, e nel mio caso per promuovermi, ma ho imparato a tenere una distanza sana, a proteggere i miei spazi di silenzio e riflessione, che per me sono fondamentali. Quanto agli altri social, li uso con ancora più cautela e distacco: non solo non amo la comunicazione frenetica e frammentaria che spesso impongono, ma non mi ci riconosco proprio più. Avverto un bisogno crescente di profondità, di tempo per riflettere e costruire senso. Preferisco luoghi, reali o virtuali, dove le parole possano trovare radici e generare qualcosa che duri, piuttosto che rincorrere l’effimero e l’istante, o il consenso virtuale a ogni costo.

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Quanto conta l’Umbria nella tua scrittura?
L’Umbria non è solo la mia terra, è la mia matrice profonda. Non è semplice sfondo – più o meno reale – nei miei romanzi, ma è piuttosto un modo di sentire, una grammatica emotiva che plasma personaggi e storie. Anche quando scrivo di altri luoghi, l’Umbria resta una presenza sotterranea, una radice che continua a nutrire.

Il confine dei silenzi
Il libro

Vivi vicino ad Assisi. Cosa significa per te abitare in provincia?
È un privilegio e, al tempo stesso, una forma di resistenza. Vivo immersa in un paesaggio che offre silenzi carichi di senso, ma anche un certo isolamento che, a volte, pesa. Non c’è la corsa delle grandi città, né il rumore del fermento culturale continuo, e questo può farti sentire lontana dai centri decisionali. Ma è proprio questa distanza a permettermi uno sguardo obliquo, meno omologato. La provincia ti costringe a scavare, a inventarti percorsi, a cercare connessioni in modo più ostinato.

Clara, la tua protagonista, è sorda e si candida a sindaco. Quanto c’è di te in lei?
Clara non mi somiglia in superficie, ma ci sono tracce profonde di me in lei. Non vivo la sua disabilità, ma conosco bene la sensazione di doversi guadagnare ascolto, di essere percepita come “diversa” rispetto a uno standard. Clara incarna una forza che non esplode, ma resiste come un fiume carsico: invisibile in apparenza, ma inarrestabile sotto traccia. Non aspira a essere un simbolo e rifiuta le semplificazioni: vuole esistere pienamente, senza che la sua identità venga ridotta a un’unica definizione. In questo, credo, ci incontriamo davvero.

Perché raccontare la sordità in chiave politica?
Perché la sordità, come ogni forma di disabilità, non è solo una condizione personale ma anche uno specchio di come la società guarda e definisce l’altro. Mi interessava raccontare quella frizione: tra ciò che Clara è e ciò che gli altri proiettano su di lei. Non volevo cadere nel pietismo o nella retorica dell’eroina, ma restituire tutta la complessità di una donna che si muove tra fragilità e forza, tra esclusione e rivendicazione. Clara non cerca compassione: cerca spazio, diritti e dignità. E la politica, in questo senso, è la palestra più esposta e più vera.

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È stato difficile scrivere di una condizione che non vivi in prima persona?
Sì, non è stato semplice. Ho cercato di affrontare il tema con il massimo rispetto, documentandomi molto attraverso letture e testimonianze. Non avevo la pretesa di raccontare una verità assoluta, ma di restituire una prospettiva credibile e onesta. La sfida più grande è stata quella di evitare stereotipi, restando sempre consapevole che si trattava di uno sguardo “dall’esterno”, ma comunque mosso da empatia e attenzione.

Hai ricevuto feedback dal mondo della disabilità?
Sì, e sono stati senza dubbio i più significativi. Quando persone che vivono la disabilità mi dicono che Clara è credibile, che non appare come una forzatura o una caricatura, è il riconoscimento che conta di più per me. Non perché confermi una riuscita tecnica, ma perché significa che, almeno in parte, sono riuscita a restituire umanità e complessità, senza cadere in cliché o semplificazioni. È un riscontro che ripaga ogni dubbio e ogni cautela avuta durante la scrittura.

Credi che la letteratura possa incidere ancora nella società?
Non credo che la letteratura debba per forza incidere, e forse è questo il suo valore più grande. Non ha l’urgenza di convincere o di cambiare le cose subito: lavora ai margini, sottrae invece di aggiungere, fa spazio al dubbio più che alla certezza. Se qualcosa si muove, lo fa in modo imprevisto, fuori da ogni schema. E proprio lì, secondo me, sta la sua forza.

Il confine dei silenzi
La scrittrice umbra

Cosa stai leggendo in questo periodo?
Sto leggendo Splendeva l’innocenza di Roberto Camurri, uscito per NN Editore. È un romanzo che intreccia memoria e disincanto, ambientato tra Monterosso e la Genova del G8 del 2001. Mi sta coinvolgendo molto per la sua capacità di intrecciare piccole storie private con la grande storia collettiva.

Il penultimo libro che hai letto?
Penultime parole di Cristò, edito da Mondadori. Un libro che mi ha colpita per la sua capacità di esplorare il rapporto tra uomo e natura in modo profondo e originale. La storia delle due sorelle che, isolate dal mondo, scelgono di seppellire i libri per fare spazio al silenzio, mi ha fatto riflettere sull’importanza del linguaggio e sulla nostra connessione con l’ambiente che ci circonda.

Una novità personale che vuoi condividere?
Ho iniziato un percorso che, spero, mi porterà a conseguire una seconda laurea, questa volta in ambito letterario (la prima era in Scienze della Comunicazione). Sento il bisogno di tornare alle radici, di approfondire quello che da sempre mi appassiona davvero. Non lo vivo come un traguardo formale, ma come un modo per rimettermi in gioco e continuare a crescere, senza mai dare per scontato ciò che penso di sapere. Ho bisogno di sentire la mente viva e “scomoda”. Studiare, per me, è un modo per spostare continuamente il baricentro: non si cercano certezze, ma fratture, punti ciechi da cui possono nascere nuove prospettive.

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Ti vedremo mai in un reality culturale?

Un reality culturale, se esistesse, non potrebbe fare a meno di riprodurre almeno alcuni dei meccanismi tipici di questo tipo di format, finendo per svuotare il senso stesso della cultura. La cultura ha bisogno di tempo, profondità e spazi di riflessione, elementi che lo spettacolo spesso sacrifica. Non parteciperei comunque, perché non mi interessa espormi in contesti dove i contenuti diventano secondari e la visibilità prende il sopravvento. Preferisco luoghi dove le parole abbiano davvero un valore, senza dover rincorrere l’intrattenimento.

Sarai alla Fiera del Libro di Torino?
Purtroppo no, per motivi familiari. È la prima volta dopo otto anni che non partecipo. Mi dispiace perché la Fiera è sempre stata un appuntamento importante, ma, a dire il vero, penso anche che questa pausa arrivi in un momento in cui ne sentivo la necessità. Dopo tanti anni immersa in quel contesto, ho iniziato a percepire una certa saturazione: la sensazione che, a volte, il rumore copra il senso, che il bisogno di esserci prevalga sul valore reale delle cose. Prendersi una pausa, per me, significa anche questo: recuperare uno sguardo più lucido e tornare, eventualmente, con motivazioni più autentiche.

Hai letto molto fin da bambina. Come vedi i ragazzi di oggi sempre con lo smartphone?
A dire il vero, a me spaventa un po’. Ricordo che a dodici anni leggevo Agatha Christie sotto le coperte, pagina dopo pagina, mentre oggi i ragazzi hanno lo schermo sempre in mano. Mi preoccupa il rischio che lo smartphone diventi un surrogato di esperienza, anziché un ponte verso la conoscenza. La vera sfida, tutt’altro che semplice, sta nel cercare di accompagnarli: mostrare loro come trasformare quel flusso continuo in un’opportunità di scoperta, insegnare a mettere in pausa il feed per immergersi in un libro o in una conversazione autentica. Solo così la tecnologia resta strumento e non barriera.

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Servirebbero più scuole di scrittura in Italia?
Ce ne sono troppe e molto poche sono davvero valide. Le scuole di scrittura che hanno senso dovrebbero essere spazi dove si impara ad ascoltare, a dubitare e a riscrivere senza paura. Non si tratta di insegnare a diventare “scrittori di successo” – anche perché una formula del genere non esiste e, oggi, con la crisi del settore che morde, l’idea di un successo immediato, che si spera si consolidi nel tempo, è ancora più illusoria. L’obiettivo dovrebbe essere piuttosto quello di lavorare sulla consapevolezza del proprio mestiere. Sì, perché non mi stancherò mai di dirlo: scrivere è solo in parte l’espressione di un presunto talento innato. È un’arte che richiede una continua riflessione su ciò che si scrive, una disciplina che non si limita al momento creativo, ma si estende al lavoro quotidiano sulla forma, sullo stile, sulla sostanza.

Cosa diresti a una ragazza che vuole iniziare a scrivere oggi?
Le direi che la scrittura è prima di tutto un atto di conoscenza, un modo per esplorare sé stessa. Deve scrivere senza paura, senza preoccuparsi del giudizio degli altri e, soprattutto, senza fretta. La scrittura non è una corsa verso il riconoscimento, ma un percorso che richiede pazienza. Deve leggere tanto, perché solo attraverso la lettura si affina la propria voce, e sbagliare ancora di più, perché gli errori sono la via per crescere. Alla fine, però, le direi anche: studia e cercati un lavoro. La scrittura è un percorso lungo e non sempre lineare, quindi avere una base solida su cui appoggiarsi è fondamentale. Scrivere richiede passione, ma anche realismo.

E a una donna che si sente ai margini?
Le direi che sentirsi ai margini non è la fine della propria storia, ma l’inizio di una riscrittura. Non è un’etichetta che definisce chi sei, ma uno spazio da attraversare per trovare la propria voce. La sua storia merita di essere raccontata, e anche se il mondo sembra non concederle un posto centrale, può costruirne uno suo, proprio lì dove si trova. La vera forza sta nel non permettere che il margine diventi una prigione, ma trasformarlo in un punto da cui iniziare a cambiare le regole.

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Con Il confine dei silenzi, Viviana Picchiarelli firma un romanzo necessario che mette al centro la complessità dell’identità, il valore della voce interiore e la forza di chi rifiuta ruoli imposti. In un tempo in cui la parola è spesso gridata, la sua scrittura invita a un ascolto profondo, a una comprensione più lenta e umana. Non c’è retorica, né morale facile: solo personaggi vivi, feriti e veri, che lottano per esistere in un mondo che li vorrebbe zittire.

Se la sordità diventa metafora del confine, allora scrivere – e leggere – diventa un atto politico, un gesto di resistenza. È lì, tra le crepe del silenzio, che nasce la letteratura più autentica. Quella che non cerca il consenso, ma la verità.

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In un’epoca in cui le voci sono sempre più affollate e le parole troppo spesso distorte dalla velocità della comunicazione, Il confine dei silenzi ci invita a riflettere sul valore del silenzio, non come assenza, ma come spazio di consapevolezza. Invitiamo i lettori a porsi una domanda semplice ma profonda: quali silenzi attraversano le nostre vite?

In un mondo che spesso giudica la disabilità come un limite, Clara Rossetti ci insegna che il silenzio non è solo un ostacolo, ma può diventare una risorsa. Come risuonano le storie di chi è costretto a lottare per farsi sentire? Quanto siamo pronti ad ascoltare le voci che non ci arrivano in modo convenzionale?

Leggere Il confine dei silenzi non è solo un viaggio attraverso le pagine, ma un’opportunità per interrogarsi sul potere delle parole, sul valore della differenza e sull’importanza di dar voce a chi è rimasto inascoltato troppo a lungo. Condividete con noi le vostre riflessioni: come il silenzio influisce sulle vostre scelte e relazioni?

ILARIA SOLAZZO

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