È uno dei titoli più attesi di questa 82ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, La Grazia, il nuovo film scritto e diretto da Paolo Sorrentino, segna il ritorno del regista napoletano a una riflessione profonda e intima sui temi della responsabilità, dell’etica e dell’amore. Prodotto da Fremantle, The Apartment e Numero10, il film è stato presentato nelle scorse ore in concorso e ha subito acceso il dibattito tra pubblico e critica.
Il Presidente e l’Uomo
Protagonista del film è Mariano De Santis, interpretato da un intenso Toni Servillo, Presidente della Repubblica Italiana sul finire del proprio mandato. Vedovo, cattolico, giurista di formazione, vive in un universo fatto di silenzio, doveri e memorie. Quando gli si presentano due richieste di grazia, legate a casi di omicidio in circostanze complesse, e una legge sull’eutanasia da firmare, la sua vita privata e il suo ruolo istituzionale iniziano a fondersi in un turbine di dubbi e riflessioni.
Al suo fianco, un cast di grande respiro che comprende Anna Ferzetti, Orlando Cinque, Massimo Venturiello, Milvia Marigliano, Giuseppe Gaiani, Linda Messerklinger e Vasco Mirandola.
L’etica come motore narrativo
Sorrentino affronta il cuore del film con lucidità e coraggio. “La Grazia è un film sul dubbio”, scrive il regista nel suo commento. “E sulla necessità di praticarlo, soprattutto in politica, in un’epoca in cui le certezze granitiche dei leader generano conflitti e risentimenti”.
Il film si muove tra ambienti istituzionali e spazi domestici, costruendo un ritratto umano e fragile di un Presidente che, pur inventato, sembra riflettere sulla condizione stessa del potere e della responsabilità pubblica. Il riferimento a opere come il Decalogo di Kieślowski è esplicito: “Un capolavoro che mi ha segnato da ragazzo – confessa Sorrentino – e che mi ha spinto a interrogarmi sull’unico intreccio davvero appassionante: il dilemma morale”.

Un’estetica riconoscibile
Con una fotografia firmata da Daria D’Antonio, il montaggio elegante di Cristiano Travaglioli, le scenografie di Ludovica Ferrario e i costumi di Carlo Poggioli, La Grazia mantiene l’impronta estetica che ha reso celebre Sorrentino in tutto il mondo. Il suono, curato da Emanuele Cecere e Mirko Perri, accompagna con discrezione l’introspezione del protagonista, mentre gli effetti visivi di Rodolfo Migliari arricchiscono il racconto senza mai sopraffarlo.
Tra pubblico e privato
Come già in altre sue opere, da Il Divo a La Grande Bellezza, Sorrentino si muove con naturalezza tra la dimensione pubblica del potere e quella privata dell’uomo. In La Grazia, però, il baricentro si sposta verso l’interiorità: “Mariano De Santis è un uomo d’amore”, scrive il regista. Ama la moglie defunta, i figli con cui condivide incomprensioni generazionali, e ama il diritto penale, studiato con passione per tutta la vita. È un uomo che soffre, dubita, decide. E nella decisione trova il suo riscatto, anche morale.
Un film necessario
In un tempo in cui l’etica sembra spesso merce da propaganda, La Grazia arriva come un monito silenzioso ma deciso. Un film che invita alla riflessione, che chiede tempo e attenzione, che non cede alla tentazione del facile giudizio. E proprio per questo, nella cornice della Biennale di Venezia, acquista un significato ancora più profondo.
Scheda tecnica
Titolo: La Grazia
Regia e sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Durata: 133 minuti
Produzione: Fremantle (Andrea Scrosati), The Apartment (Annamaria Morelli), Numero10 (Paolo Sorrentino)
Fotografia: Daria D’Antonio
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Scenografia: Ludovica Ferrario
Costumi: Carlo Poggioli
Suono: Emanuele Cecere, Mirko Perri
Effetti visivi: Rodolfo Migliari
Lingua: Italiano
Paese: Italia
Distribuzione internazionale: The Match Factory
Distribuzione italiana: PiperFilm
L’INTERVISTA | Etica, cinema e fine vita: dialogo tra giornalisti su La Grazia di Paolo Sorrentino.
Conversazione con Tiziano Tedeschi, giornalista e commentatore culturale, da sempre favorevole all’eutanasia.

Tiziano Tedeschi, grazie per essere qui con noi. Il film La Grazia di Paolo Sorrentino, in concorso a Venezia 82, tocca temi etici profondi, tra cui proprio l’eutanasia. Lei, da tempo, si è espresso pubblicamente a favore di una legge sul fine vita. Che impressione ha avuto dal film?
La ringrazio. La Grazia è un’opera che mi ha colpito profondamente, soprattutto per la delicatezza con cui affronta il tema. Sorrentino ha il merito di non offrire risposte, ma di creare spazi di riflessione. Vede, quando si parla di eutanasia, il rischio è sempre quello di cadere in semplificazioni ideologiche. Questo film, invece, restituisce al dubbio la dignità che merita, soprattutto se parliamo di responsabilità politica e coscienza individuale. Già nel 2007 partecipai volentieri al dibattito aperto sul tema dell’eutanasia in occasione della presentazione ad Avellino dell’Agenda Coscioni a cura dell’onorevole Marco Cappato. L’agenda uscì come allegato al quotidiano Ottopagine. Da direttore del quotidiano Irpinianews mi schierai a favore dell’eutanasia. L’evento fu trasmesso in diretta da Radio Radicale.
Il protagonista, Mariano De Santis, è un Presidente della Repubblica cattolico, costretto a decidere se firmare o meno una legge sull’eutanasia. Lei ritiene che l’appartenenza religiosa debba influenzare una scelta politica di questo tipo?
Personalmente, no. Le convinzioni religiose sono legittime, ma in uno Stato laico non possono e non devono sovrapporsi al diritto di ciascuno di decidere per sé, soprattutto nei momenti più fragili dell’esistenza. Detto questo, trovo che Sorrentino sia stato estremamente rispettoso della complessità. Non mette alla berlina la fede, ma ci mostra un uomo che cerca, nel buio, la risposta giusta. E questo è molto più potente di qualsiasi dichiarazione ideologica.
Lei ha spesso scritto che il diritto al fine vita è una battaglia di civiltà. Perché lo considera un tema così urgente oggi?
Perché viviamo in una società che si è abituata a medicalizzare ogni cosa, anche la morte. Eppure, ci sono condizioni in cui la medicina può solo prolungare l’agonia, non la vita. In quei casi, lasciare la scelta alla persona non è solo un gesto di libertà, ma di umanità. Ecco perché reputo fondamentale una legge chiara, giusta, che tuteli chi decide di interrompere la propria sofferenza. Il film ci ricorda che il potere, quando è chiamato a decidere su questi temi, non può nascondersi dietro il timore o la neutralità.

Secondo lei, La Grazia potrà contribuire al dibattito pubblico su questi temi?
Me lo auguro vivamente. Il cinema, quando è fatto con intelligenza e sensibilità, come in questo caso, ha la capacità di porre domande che restano. E questo è il primo passo per un dibattito maturo. La Grazia non dice mai “questa è la verità”, ma chiede allo spettatore: “E tu, cosa faresti?”. È un atto politico, nel senso più nobile del termine. In Italia qualcosa si è mosso, soprattutto dopo la sentenza emessa dalla Corte Costituzionale che ha reso legittima l’eutanasia “passiva” cioè il suicidio medicalmente assistito. In presenza di determinate condizioni cliniche il malato ha il diritto di essere aiutato a morire, ma l’eutanasia “attiva” resta reato nel nostro ordinamento perché si configura ancora come omicidio del consenziente o come aiuto al suicidio, articoli 579 e 580 del codice penale. La Regione Toscana ha recentemente approvato la legge sul fine vita, è stato un gran segnale di coraggio, ma il Governo l’ha impugnata innanzi alla Corte Costituzionale: vedremo come finirà. Mi auguro che i singoli stati e l’Europa diano indicazioni chiare ed uguali per tutti i cittadini dell’Unione al fine di scongiurare ingiustizie, diseguaglianze e contraddizioni. Per esempio nei Paesi Bassi, in Belgio, in Lussemburgo e in Spagna l’eutanasia “attiva” è legale.
L’ultimo gesto del Presidente nel film è quello di firmare. Crede che sia un atto di coraggio?
È un atto di responsabilità. La politica non è solo gestione del consenso, ma anche assunzione del rischio. Firmare quella legge, per Mariano De Santis, significa accettare la possibilità di sbagliare, ma anche di restare fedele alla propria coscienza. E in questo gesto, che è silenzioso e solenne, c’è tutto il senso del film. E, forse, anche un messaggio al nostro presente.
La ringrazio, Tedeschi. È sempre un piacere ascoltare il suo punto di vista.
Grazie a lei. E grazie a Sorrentino per averci ricordato che il dubbio, oggi più che mai, è una virtù.
*
Di fronte a un film come La Grazia, diretto da Paolo Sorrentino, non si può restare del tutto indenni. Non è soltanto la bellezza formale del cinema che colpisce — l’eleganza visiva, la misura nella parola, la profondità dello sguardo — ma la materia viva che smuove. La Grazia non è solo un film su un Presidente della Repubblica che si interroga sul destino di due richieste di clemenza o su una legge sull’eutanasia. È un film, prima di tutto, sulla responsabilità di essere umani.
Mi sono chiesta, più volte durante la visione, cosa avrei fatto io. E non è stata una domanda teorica. È stato un brivido reale, una vertigine etica che mi ha accompagnata anche dopo i titoli di coda.
Sono cresciuta in una famiglia dove il dolore, soprattutto quello fisico, non veniva mai nominato ad alta voce. Era qualcosa che si sopportava, si stringevano i denti, si andava avanti. Eppure, negli anni, ho visto persone amate spegnersi lentamente, perdendo dignità e voce. Ho visto negli occhi di alcuni parenti quel desiderio silenzioso che qualcuno — un medico, un giudice, uno Stato — potesse dire: “Va bene così, puoi andare”. Ma non è mai accaduto.
Per questo il tema del fine vita non mi appare affatto come un terreno astratto, né come un campo da occupare ideologicamente. È, per me, una questione profondamente concreta e profondamente umana. Credo che ogni individuo abbia il diritto di scegliere il proprio modo di lasciare il mondo, soprattutto quando la vita è diventata soltanto un contenitore di sofferenza.
Nel film, Mariano De Santis — interpretato da uno straordinario Toni Servillo — si trova esattamente lì, nel punto in cui la legge, la fede e l’amore si intrecciano senza dare risposte nette. E proprio lì, dove tutto si fa confuso, io ho trovato la verità più luminosa del film: il valore del dubbio.
Viviamo in un tempo in cui le certezze gridate sembrano valere più delle domande meditate. Chi è incerto viene percepito come debole, chi si ferma a pensare viene giudicato in ritardo. Ma non è forse il dubbio il gesto più umano che abbiamo? Non è, forse, la forma più autentica di rispetto verso la complessità della vita?

Firmare o non firmare. Accettare o rifiutare. Concedere o negare. Ogni scelta politica, ma anche ogni scelta personale, è un atto che si carica di peso morale. Eppure, scegliere con consapevolezza significa anche avere il coraggio di attraversare la paura, la fragilità, l’errore possibile.
Io credo, oggi più che mai, che servano leggi giuste e chiare sul fine vita. Non per rendere più semplice ciò che semplice non sarà mai, ma per restituire a chi soffre la possibilità di essere ancora protagonista della propria storia. Non si tratta di banalizzare la morte, ma di riconoscere che la dignità di una persona non finisce con la malattia.
La Grazia è un film che, senza proclami, ci chiede di guardare dentro. Di mettere da parte le ideologie e ascoltare la coscienza. Di pensare, finalmente, con il cuore e con la mente insieme. E in un’epoca così rumorosa, questo silenzio morale che il film ci impone è, forse, la sua lezione più necessaria.
ILARIA SOLAZZO
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