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Daniele Gallo

In un tempo in cui la comunicazione sembra talvolta frammentata, rapida e superficiale, incontrare una figura come Daniele Gallo è un’esperienza che riconcilia con la profondità del sapere. Direttore didattico, giornalista, saggista e docente, Gallo incarna con rara coerenza il senso più alto del fare cultura: non trasmettere semplicemente contenuti, ma generare consapevolezza, stimolare il pensiero critico e coltivare la relazione con l’altro.

All’interno della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici “P.M. Loria” della Società Umanitaria di Milano, dove insegna Sociologia dei processi comunicativi e culturali e Lingua e letteratura italiana, ha saputo costruire un ambiente educativo fondato sull’ascolto, sull’incontro e sulla ricerca autentica del senso. I suoi corsi non si limitano a formare professionalità tecniche, ma sviluppano negli studenti una visione integrata della comunicazione come atto sociale, culturale ed etico.

La sua attività didattica si intreccia costantemente con la sua intensa produzione saggistica. Titoli come Psico-sociologia dell’atto comunicativo, Riconoscere e ospitare l’alterità o Informazione e verità testimoniano una ricerca profonda e continua sul valore della parola, sulla responsabilità del linguaggio, sul ruolo del mediatore come costruttore di ponti tra le differenze. In ogni pagina dei suoi scritti si coglie la tensione verso un sapere che non sia fine a sé stesso, ma che serva a generare legami, a comprendere il mondo e a trasformarlo.

Ciò che colpisce in Gallo è la capacità di tenere insieme dimensioni apparentemente distanti: il rigore accademico e la forza evocativa della letteratura, l’analisi sociologica e il valore simbolico della narrazione, la formazione professionale e l’educazione al sentire. Nel suo insegnamento la lingua italiana non è solo oggetto di studio, ma veicolo di identità, memoria e pensiero; la sociologia non è solo una scienza sociale, ma uno strumento per abitare la complessità del nostro tempo con maggiore coscienza.

Tutto questo si inserisce nel contesto prestigioso della Società Umanitaria, storica istituzione milanese fondata nel 1893 da Prospero Moisè Loria, da sempre impegnata a garantire formazione, lavoro e cittadinanza attiva. È in questa cornice di forte vocazione sociale che Gallo svolge il suo lavoro con un senso di responsabilità profonda, portando avanti la missione educativa con visione e umiltà.

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C’è in lui un’idea di cultura come atto di accoglienza, una pedagogia del rispetto che attraversa ogni parola, ogni lezione, ogni testo. È difficile etichettarlo con una sola definizione: intellettuale, certo, ma anche maestro nel senso più ampio e autentico del termine. Un uomo che non si limita a spiegare il reale, ma che con le sue riflessioni e il suo esempio contribuisce a renderlo più umano, più giusto, più comprensibile.

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Daniele Gallo

L’INTERVISTA

Nella sua opera unisce profondità intellettuale, spirito di servizio e amore per la cultura. In questa intervista esclusiva, si racconta con lucidità e umiltà, toccando i grandi temi dell’esistenza, della fede, della bellezza e del suo personale cammino accanto alla figura di Padre Pio.

Qual è, per lei, il senso della vita?
Vivere con coscienza, coltivare la gratitudine e lasciare che ogni gesto, anche il più semplice, sia abitato dal senso. La vita ha valore quando è vissuta come dono e come responsabilità. Non si tratta di trovare risposte assolute, ma di abitare le domande con fedeltà. Il senso, a volte, si manifesta in un incontro, in uno sguardo, in un frammento di verità che ci sorprende.

Su quali valori fonda la sua quotidianità?
Sul rispetto, sull’ascolto, sulla discrezione. Credo nella sobrietà del vivere, in una forma esistenziale che non urla, ma accoglie. Ogni giornata è un’opportunità per costruire bellezza e per servire, anche silenziosamente, la crescita dell’altro. Il lavoro, lo studio, la preghiera, persino il silenzio: tutto può diventare occasione di servizio.

E il suo ruolo nella società, come lo vive?
Non come affermazione, ma come testimonianza. Insegnare, scrivere, accompagnare i giovani nello studio significa, prima di tutto, esserci. Offrire tempo, parole, attenzione. Sento il mio ruolo come un compito sobrio: aiutare le persone a diventare più consapevoli, più libere, più vere. Se anche una sola persona, dopo un incontro, riesce a guardare il mondo con occhi nuovi, allora qualcosa ha avuto senso.

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Lei ha sempre avuto uno sguardo attento alla Chiesa. Che impressione ha avuto degli ultimi quattro pontificati?
Ogni pontificato ha portato un dono specifico. Giovanni Paolo II è stato il ponte tra il mondo e la speranza, un profeta della dignità umana; Benedetto XVI ci ha restituito la profondità del pensiero e l’amore per la verità come atto di carità; Francesco ha spalancato le porte della misericordia, ci ha ricordato che la Chiesa è ospedale da campo, che Dio è più grande delle nostre chiusure. Giovanni Paolo I, anche se per poco tempo, ha testimoniato la dolcezza e l’umiltà. La Chiesa, in questi decenni, ha attraversato prove e luci, ma resta per me la casa dove la fragilità può essere redenta.

Quanto ha contato, nella sua vita, il rapporto con la cultura e l’arte?
Moltissimo. La cultura è un’educazione all’essenziale. È una forma di spiritualità laica, è esercizio di interiorità. L’arte, la letteratura, la musica hanno sempre rappresentato per me un altare laico dove celebrare l’infinito. Non esiste formazione autentica che non attraversi la bellezza. La bellezza educa, converte, consola.

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La copertina del libro

So che ha un rapporto molto profondo con Padre Pio. Cosa rappresenta per lei questa figura?
Padre Pio è una presenza. Non solo un santo da venerare, ma un fratello maggiore, una guida. La sua vita è stata un grido d’amore incarnato nel dolore. Il suo silenzio, le sue stimmate, le sue preghiere sono state per me un continuo richiamo alla verità, all’umiltà, al sacrificio. Mi ha insegnato che si può soffrire in pace, che si può amare senza possedere, che la fede è resistenza e abbandono insieme.

Lei ha anche partecipato attivamente alla realizzazione del libro di Piero Drioli su Padre Pio. In che modo?
Con grande gratitudine e discrezione. Piero Drioli ha saputo raccontare Padre Pio non come mito, ma come uomo redento, come servo nascosto. La mia partecipazione è stata soprattutto un accompagnamento nella stesura, una riflessione condivisa, un ascolto profondo dei testi e del loro cuore spirituale. Ho cercato di portare la mia esperienza, il mio sguardo, il mio rispetto. È stato un atto d’amore, più che un lavoro.

Se dovesse lasciare un messaggio, una sola frase, a chi la leggerà?
La verità non urla. Va cercata con pazienza, custodita con rispetto e testimoniata con amore.

*
Ci sono libri che non si leggono soltanto: si ascoltano. Parlano al cuore prima ancora che alla mente. Il volume su Padre Pio, frutto dell’incontro tra la sensibilità narrativa di Piero Drioli e la profondità spirituale e culturale di Daniele Gallo, è uno di questi. Non è un’agiografia, ma un percorso umano e interiore; non è un semplice omaggio al Santo, ma un invito silenzioso a guardare in profondità la vita, il dolore, la fede.

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In un tempo che spesso consuma parole e dimentica l’essenziale, questo libro restituisce spazio all’intimità del sacro, alla potenza del silenzio, alla verità che si cela nelle ferite amate. È una lettura che interroga, consola e accompagna.

Invito chiunque senta il bisogno di ritrovare senso, bellezza e direzione, ad accostarsi a questo testo non come a un’opera da analizzare, ma come a una presenza da accogliere. Non leggerete solo la storia di Padre Pio. Vi leggerete anche dentro.

ILARIA SOLAZZO

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