Chitarrista, cantante, narratore, ricercatore, pubblicista e ora anche scrittore, Andrea Parente è un artista poliedrico che porta avanti la sua attività con entusiasmo, passione e dedizione. Dotato di un forte senso di partecipazione e condivisione, ha posto le basi di una rete culturale e artistica che coinvolge musicisti, scrittori, studenti, storici, archeologi, istituti di formazione di ogni ordine e grado.
Nonostante la sua giovane età, vanta un curriculum ricco e variegato, che lo ha visto protagonista di eventi musicali, letterari e di ricerca. Tra i numerosi progetti realizzati, spicca “Sing ‘O Swing”, con lo spettacolo “L’Italia degli anni Quaranta, tra guerra e canzonette” che ha riscosso grande successo e che è stato replicato più volte.
Si tratta di un viaggio nella storia del jazz, raccontato a tempo di swing, frutto di una ricerca accurata e di uno studio approfondito. Questo progetto, a cui hanno collaborato numerosi musicisti talentuosi, ha ricevuto una testimonianza speciale: quella di Renzo Arbore. Durante lo spettacolo, Andrea Parente non è solo l’ideatore, ma anche il protagonista, in qualità di voce, chitarrista e storytelling.
Recentemente ha pubblicato insieme a Stefano Orlando Puracchio “Multiforme ingegno – Attila Zoller e il jazz (Demian Edizioni), una biografia originale dedicata ad Attila Zoller, musicista ungherese leggendario della chitarra, considerato “il primo e unico” maestro di Pat Metheny.
Andrea Parente, benvenuto al nostro giornale!
Grazie mille per l’invito! È un piacere chiacchierare con te, Daniela.
Sei un artista eclettico, con numerosi interessi. Quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua compagna di vita?
È partito tutto dal lontano 2003, quando spopolavano gli mp3 tra i banchi di scuola e c’era un amico che faceva le compilation per tutti; da lì, è iniziata la mia grandissima passione per la musica “ascoltata”. Per quanto riguarda , poi, la musica “suonata”, tutto è iniziato con la passione per i basso grazie a Flea dei Red Hot Chili Peppers e, contemporaneamente, le schitarrate insieme agli amici di sempre. Mi sono approcciato alla chitarra per imparare meglio il basso, ed ho continuato lo studio di entrambi in parallelo, fino ad arrivare all’incontro con il Jazz, avvenuto nel 2014 da chitarrista ritmico. Infine, per quanto riguarda la musica “esercitata” – ovvero, come lavoro – ho realmente capito che la musica sarebbe stata la mia compagna di vita subito dopo essermi laureato nel 2017 in Economia e Commercio: non avendo più stimoli nel continuare gli studi magistrali, ho scelto di intraprendere il difficile percorso della musica, spinto da una grande voglia di mettermi in gioco; il “come” l’ho scoperto durante la pandemia, quando ho avuto modo di approfondire e specializzare la mia vera vocazione, ovvero quella di “storyteller” della musica.
Sei giovanissimo, eppure sei molto attratto dallo swing e dalle “canzonette”. Il tuo progetto “Sing ‘O Swing” riscuote successo e consensi e ha ricevuto il sostegno di un testimonial d’eccellenza: Renzo Arbore che ha parlato del progetto in un video. Puoi raccontarci di più?
Sembrerà strano da dire, ma tutto nasce dal ruolo di “chitarrista ritmico”. Dal 2014 al 2018 ho avuto modo di accompagnare tantissimi musicisti campani (e non), che esprimevano il loro estro artistico attraverso il proprio strumento. Col tempo, è cresciuta anche in me l’esigenza di esprimere la mia idea di Jazz, ed è nato così il progetto “Sing ‘O Swing”, che si differenzia dagli altri per la sua vena culturale e divulgativa.
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La curiosità di approfondire il vasto universo della musica Jazz, ed in particolare delle famose “canzonette” dello Swing italiano degli anni Quaranta, ha fatto sì che conoscessi situazioni ed ambienti molto interessanti e persone – per me – “inarrivabili”, come Renzo Arbore, una persona squisita con una gentilezza ed un’umiltà fuori dal comune. Sono arrivato a lui grazie al suo biografo, Claudio Cavallaro, conosciuto durante il periodo in cui stavo approfondendo il ruolo della radio in Italia; il tutto è avvenuto in maniera diretta e spontanea. Lo stesso discorso vale, infine, per il compianto Renzo Barzizza, il figlio del celebre direttore d’orchestra Pippo Barzizza, attraverso Freddy Colt e Roberto Berlini, gli autori del libro “L’astro di Pippo Barzizza. Vita e opere del «Re del jazz» italiano”, pubblicato nel 2021. Non posso che ritenermi una persona molto fortunata nell’essere circondato da personalità così importanti, e ciò mi stimola a fare sempre meglio. Ho una promessa da mantenere al mio carissimo amico Renzo Barzizza, in onore del suo amato papà.
Ami la ricerca e la sperimentazione, e giorno dopo giorno il tuo bagaglio culturale ed esperienziale cresce. Di cosa ti stai occupando attualmente?
Attualmente mi sto occupando di diffondere e divulgare il progetto “Sing ‘O Swing” anche fuori la Campania. Nel mese di gennaio sono stato a Roma, ospite dell’Associazione Culturale Eufonia, e ad Ancona, ospite dell’Associazione Culturale Sulvic; in passato ho portato lo spettacolo “L’Italia degli anni Quaranta, tra guerre e canzonette” sia nella Galleria Borbonica di Napoli (2023), che nel Museo dello Sbarco di Salerno di Eboli (2024), senza dimenticare “Il Mito del Jazz in Italia” al Museo MANN nel luglio del 2022.
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Quest’estate, invece, ho portato il nuovo format de “Il Menestrello del Jazz” in Sicilia, ospite del Mushar Jazz Fest di Sant’Angelo Muxaro (Agrigento) in occasione della “Festa dei Santangelesi nel Mondo” del 9 e 10 agosto. In altre parole, cerco di organizzare eventi a tema in posti che possano rievocare le suggestive emozioni delle “canzonette”, con approfondimenti sui fenomeni migratori che hanno caratterizzato la storia italiana – ed americana – di tutto il Novecento, ispirato dal docu-film “Da Palermo a New Orleans… e fu subito Jazz!”, in cui Renzo Arbore racconta le storie dei musicisti siciliani negli Stati Uniti, come Nick La Rocca, che nel 1917 incise il primo disco Jazz della storia. Insomma, un modo alternativo di raccontare la storia e la cultura italiana nel mondo! Il segreto sta nel divertirsi: se il primo a divertirsi sono io, allora è molto probabile che qualcosa di autentico arrivi al pubblico!
Credi molto nella creazione di una rete interdisciplinare che favorisca una proficua collaborazione tra musicisti, maestri del Conservatorio, scuole di ogni ordine e grado, editoria ed enti. Ci puoi illustrare le caratteristiche di questa rete?
Io credo fermamente nella “rete”, soprattutto perché è stata proprio una “rete” di culture e tradizioni provenienti da tutto il mondo – il famoso “melting pot” – a creare la più grande rivoluzione del Novecento, ovvero il Jazz. Trovo un grande controsenso fare musica Jazz e, allo stesso tempo, non collaborare tra musicisti, oltre che una mancanza di crescita e di sviluppo personale. Le biografie di jazzisti importanti mi hanno insegnato che non esistono “grandi” cose, senza la cooperazione di “molti”, e che sono rarissimi i casi in cui si ottengono determinate cose da soli.
È vero.
Purtroppo viviamo in un mondo – quello artistico – molto difficile e complicato, che, a volte, ci induce a difendere il nostro giardino, piuttosto che aprire recinti; in tanti anni di esperienza, non ti nego che ho avuto molte brutte esperienze al riguardo, ma esse sono state necessarie per la “gavetta” che serve ad ogni musicista per poter “sopravvivere” nel mondo artistico. Chiaramente, sono arrivate anche tantissime soddisfazioni (è importante ribadirlo), e quest’ultime rappresentano il carburante naturale che alimenta tutto quello che faccio ed organizzo. Tutto ciò per dire che la “rete” c’è ed esiste, grazie ai tanti direttori artistici, docenti di conservatorio, giornalisti competenti, musicisti intraprendenti, ecc… Però bisogna stare sempre attenti con certe collaborazioni, perché ci sono tutta una serie di meccanismi di cui tener conto. La differenza la fa la determinazione: volere è potere, nonostante tutto.
Hai scritto un libro su Attila Zoller e il suo jazz, insieme a Stefano Orlando Puracchio. Il libro raccoglie interviste, recensioni dei suoi dischi, documentazioni sulle sue collaborazioni con musicisti jazz di fama internazionale… Puoi parlarcene brevemente?
Ho conosciuto Stefano in occasione della presentazione ungherese del suo libro “Gábor Szabó. Il jazzista dimenticato”, in cui ho partecipato come inviato italiano della rivista Jazzit nel settembre del 2022. Da lì, l’idea di approfondire insieme un altro grandissimo jazzista magiaro, ovvero il chitarrista Attila Zoller. Il ritratto che ne è uscito è quello di un jazzista dal “multiforme ingegno” (cit.), con una storia musicale e personale tutta da scoprire: Zoller non è stato solo il maestro di uno dei più grandi chitarristi jazz del panorama mondiale – Pat Metheny – ma è stato, anche, un grandissimo compositore, nonché affidabile turnista e creatore di pick-up e corde per chitarra. Insomma, una personalità tutta da scoprire. Ringrazio tantissimo Stefano per avermi coinvolto in questo entusiasmante progetto editoriale, avvenuto tra l’Italia e l’Ungheria. Abbiamo intenzione di portare questo libro nelle scuole e nei conservatori, e ciò richiederà un po’ di tempo per realizzare il tutto.
Quali sono i tuoi prossimi progetti musicali ed editoriali?
Attualmente sto scrivendo un libro che approfondisce il concetto di “italianità” nel Jazz, attraverso non solo i libri che affrontano questo tema, ma anche numerose interviste a musicologi, docenti e musicisti italiani ed internazionali. Il cuore di questo libro sarà, infine, rappresentato da un cospicuo intervento di Renzo Arbore, ma non aggiungo altro… Spero di realizzare questo progetto editoriale entro la fine del 2025. Questo libro rappresenta una vera e propria sfida per me, non solo perché è il mio primo lavoro editoriale “da solo”, ma anche perché è la sintesi di tutto ciò che faccio dal 2018 con il progetto “Sing ‘O Swing”, e non è affatto facile sintetizzare anni di ricerche e studi. Ed è proprio per questi motivi che sono molto determinato nel realizzarlo, per concretizzare ancora di più la mission che porto avanti con tanto entusiasmo! Sarai una delle prime a saperlo quando sarà…
Concludiamo con un consiglio da dare a un giovane che intraprende gli studi musicali.
Tre sono i consigli che mi sento di dare a chi vuole intraprendere gli studi musicali. Il primo è quello di rimanere umile: il mondo artistico, per quanto possa sembrare meraviglioso, è pieno zeppo di insidie, e – alla fine – quelli che vanno avanti sono sempre quelli più umili, ovvero quelli che si rapportano agli altri con educazione e riconoscenza, considerando che la presunzione e la saccenza sono entrambi elementi che ripagano negativamente nel lungo periodo.
Il secondo?
Il secondo, invece, è quello di lavorare sodo, senza intraprendere alcun tipo di scorciatoia: in un mondo “finto”, avere una forte identità – sia artistica che personale – equivale ad avere una marcia in più; se a ciò aggiungi la giusta determinazione, allora è molto probabile che si arrivi al cuore delle persone, piuttosto che all’approvazione “digitalizzata” dei social.
E il terzo?
Il terzo, infine, è quello di imparare ad ascoltare: che sia una canzone, un assolo, un consiglio, un rimprovero, ecc… l’ascolto è fondamentale per la crescita umana e artistica dell’individuo; ci sforziamo per studiare ed apprendere cose nuove, quando basterebbe fare un passo indietro per ascoltare, anche, tutto ciò che ci circonda, accrescendo la qualità della nostra esistenza. Ovviamente, sono tre consigli che funzionano se intrapresi insieme, non dimenticando mai che le cose importanti richiedono il tempo necessario. In conclusione, mi sento di dire che bisogna sempre essere pronti ad accogliere le novità, in quanto non si finisce mai di imparare, soprattutto nella musica. “Fattell cu chi è megli ‘e te, e fann’ e spese”, mi ripeto spesso. Il napoletano non solo è una lingua straordinaria, ma anche molto musicale, come la storia ci insegna.
DANIELA VELLANI
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