Claudia Fofi è un’artista poliedrica, una voce che ha attraversato vari ambiti culturali e creativi. Cantante, autrice, insegnante di canto e direttrice artistica del Festival Umbria in Voce, la Fofi ha dedicato la sua vita alla musica, alla scrittura e al teatro. Ma è con il suo ultimo libro, Uisciueriar, che l’autrice si fa strada nel cuore dei lettori con una narrazione che si muove tra il delicato e il drammatico, tra il sogno e la realtà.
Il romanzo, pubblicato da ExCogita il 13 novembre 2024, prende vita nelle strade di Gubbio, una città che diventa quasi un personaggio in sé. La storia è quella di Beatrice, una ragazza di undici anni nel 1978, la cui infanzia viene sconvolta dalla depressione di sua madre, Anna. Un cambiamento drastico che lascia Beatrice alla ricerca di risposte, mentre la sua vita si intreccia con quella degli adulti che la circondano: un padre incapace di affrontare la sofferenza della moglie, una nonna materna, Filomena, e il gruppo di amici, che la aiuteranno nel suo cammino verso una dolorosa consapevolezza.
La trama ruota intorno a una domanda esistenziale che Beatrice si pone incessantemente: “Dove è sparita tutta la luce di mia madre?” La sua risposta arriverà attraverso l’immaginazione, il gioco, la scrittura, ma soprattutto attraverso le canzoni, che si intrecciano con il destino dei personaggi. In particolare, la musica dei Pink Floyd diventa una sorta di eco che accompagna Beatrice in un viaggio interiore, una riflessione sulla fine dell’infanzia, sulla perdita e sulla crescita.
“Uisciueriar” è un romanzo che si fa leggere d’un fiato, con una scrittura che mescola la delicatezza delle immagini alla potenza emotiva. Claudia Fofi riesce a fondere la lingua italiana con il dialetto di Gubbio in maniera naturale, creando una narrazione che si radica profondamente nel territorio e nella cultura locali. Il romanzo è anche una riflessione sul “piccolo mondo antico” degli anni ’70, fatto di giochi di strada, giradischi e figure di riferimento che segnano l’infanzia di ogni generazione. Il lettore è catapultato in un mondo che sa di nostalgia, ma che non smette mai di essere vibrante e vivo, sospeso tra le risa e le lacrime.
Il romanzo affronta il tema universale della fragilità umana, con una madre che sprofonda nel buio della depressione e una figlia che cerca, attraverso la scrittura e le parole, di ricucire il filo spezzato della relazione. È una storia di ricerca e di perdono, che non si risolve in un lieto fine ma che, invece, lascia il lettore con un’intensa sensazione di crescita, di consapevolezza dolorosa ma necessaria.
La scrittura di Claudia Fofi è raffinata e allo stesso tempo popolare, capace di toccare le corde più intime del lettore senza mai essere retorica. L’autrice mescola poesia e realtà con un ritmo che sembra fluttuare tra il lirico e il quotidiano. Il risultato è un libro che è tanto una lettura piacevole quanto una riflessione profonda sull’animo umano e sulle sue fragilità.
“Uisciueriar” è una storia che rimane dentro, che suscita emozioni e pensieri a lungo dopo aver girato l’ultima pagina. Un’opera che si fa strada tra le pieghe della memoria e della crescita, un’opera che, come la canzone che dà il titolo al libro, diventa parte del destino dei suoi protagonisti e di chi la legge. Un romanzo che ci ricorda che, a volte, la salvezza si trova nelle parole, nei sogni, nella musica, e nell’arte che sa parlare al cuore di ognuno di noi.

L’INTERVISTA
Il tuo libro Uisciueriar ha suscitato grande interesse. Prima di tutto, ci racconti come è nato questo progetto e quale fosse l’intento che ti prefiggevi nello scrivere questa storia?
Uisciueriar nasce dal mio antico desiderio di cimentarmi con la forma del romanzo. A un certo punto ho capito che c’era una storia da raccontare, una storia che ha a che fare con il mio vissuto. Per questo l’ho ambientata a Gubbio negli anni ’70 e per questo ho scelto come protagonista una ragazzina di undici anni alle prese con la malattia mentale della propria madre. A parte l’ispirazione autobiografica, però, Uisciueriar è un romanzo di vera narrazione, ricco di invenzione, anche linguistica, tocca molte tematiche e ha l’ambizione di parlare a chiunque…
Prosegui.
Al centro c’è sicuramente la perdita dell’infanzia della protagonista Beatrice e anche in un certo senso di un mondo di provincia che a partire dalla fine degli anni Settanta iniziò a cambiare rapidamente, perdendo forse la sua “innocenza”. C’è il valore curativo delle parole, della comunità, dell’amicizia, dell’immaginazione e naturalmente della musica. Beatrice è una ragazzina che cresce troppo in fretta, costretta a fare i conti con una madre che sprofonda nella depressione. Nonostante la durezza dell’argomento centrale, è un romanzo che si muove sul doppio binario del dolore e dell’ironia, con parecchi passaggi decisamente divertenti.

La tua narrazione è ricca di dettagli evocativi: le vie di Gubbio, i giochi di strada, le canzoni dei Pink Floyd… Come mai hai scelto proprio questi elementi per contestualizzare la storia?
La mia intenzione era di creare un’ambientazione che fosse viva, che rispecchiasse l’anima della protagonista e il contesto sociale di quegli anni di grandi conquiste civili. Idealmente è ambientato nel 1978, anno di promulgazione della cosiddetta “Legga Basaglia”, che chiudeva i manicomi. E Beatrice insieme ai suoi amici è attraversata dalle inquietudini di tutta un’epoca, che sfiorano la piccola realtà di Gubbio, una città medievale con un’anima particolare. Con le sue stradine e i suoi vicoli, la sua socialità, le sue tradizioni antichissime, si fonde perfettamente con la sensazione di incanto, di mistero e anche di paura che Beatrice prova…
Continua, Claudia.
Per quanto riguarda la musica, ho scelto Wish you were here come colonna sonora che guidasse la protagonista in un momento della sua vita in cui ogni coordinata si va perdendo. È una canzone che parla di un dolore specifico che si fa universale e questo Beatrice, pur non capendo le parole, lo intuisce. Le canzoni sono metafore potenti della condizione interiore di Beatrice, ma anche della sua speranza. Quindi ho voluto che tutto fosse integrato: la musica, il dialetto, i ricordi di un’infanzia che oggi ci appare lontana ma che ha un’incredibile forza evocativa e può portare luce sul nostro presente.
Parliamo del personaggio di Anna, la madre di Beatrice. È un personaggio che, purtroppo, rispecchia una realtà che molte persone conoscono: la depressione e la perdita di sé. Come hai affrontato la scrittura di un tema così delicato?
Ho cercato di trattare la depressione con il massimo rispetto, senza cadere nel pietismo. Di Anna non racconto il perché si ammala, non è interessante nella cornice della storia. Mi interessa evocare il suo stato d’animo attraverso alcuni gesti. Sappiamo ad esempio che a un certo punto lei si chiude in casa e non esce più. Sappiamo che ha tinto i capelli di nero e che indossa sempre degli occhiali da sole, a qualunque ora del giorno. Pochi cenni bastano a far comprendere a chi legge una sofferenza. Anna è un personaggio che perde il contatto con la sua stessa vita, ma non è mai rappresentata come un’eroina tragica. Non c’è alcuna enfasi né idealizzazione. La sua fragilità è umana e molto comune. Anna però vive anche in un tempo storico in cui lo stigma sulla malattia mentale era molto presente e impattava sulla possibilità di curarsi e in certi momenti la vediamo alle prese con le superstizioni e con tutta l’ignoranza che gravava su questa malattia.
Il titolo Uisciueriar è decisamente evocativo. Che significato ha per te e come si inserisce nel contesto della storia?
Beatrice a un certo punto incontra, nel suo peregrinare di ragazzina sognatrice che ama gli hippy e le parole bellissime, una canzone. La sente suonata con la chitarra da alcuni ragazzi, chiede il titolo, e immagina che si scriva così, come viene pronunciata. Subito capisce che quella è una parola totemica, un incantesimo. Uisciueriar è il suono di qualcosa che si allontana, ma anche la sensazione di un ritorno, di un’eco, come quella che la protagonista avverte nel corso della sua crescita. La parola rappresenta un cambiamento, un passaggio, quasi una chiave di lettura per il viaggio che Beatrice intraprende. In questo senso è un romanzo di formazione, la protagonista dovrà crescere prematuramente e forse iniziare ad accettare il corso che prende la sua giovane vita. Volutamente ho scelto gli undici anni di Beatrice. Non ancora adolescente, ma non più bambina, un’età ingrata, difficile.
La musica, come accennavi prima, è un elemento fondamentale del romanzo. Ti va di parlarci di come la musica ha influenzato la tua vita e, di conseguenza, la scrittura di Uisciueriar?
La musica ha sempre avuto un ruolo centrale nella mia vita. In questo somiglio molto a Beatrice, perché credo di essere stata salvata dalla musica, tanto tempo fa. Scoprendo in me il canto e la capacità di comporre, ho attinto a una sorgente di energia vitale meravigliosa che mi ha aiutata in tanti modi. La musica aiuta ad entrare in contatto con le emozioni più profonde e ad esempio, nella scrittura della canzone, a rielaborare alcuni vissuti in forme. In questo romanzo, le canzoni funzionano come veri e propri dispositivi narrativi. Mentre lo scrivevo ho ascoltato moltissima musica, anche italiana. Volevo comprendere il “paesaggio sonoro” dei personaggi, le canzoni in cui erano immersi. A volte basta nominare una canzone per far capire che cosa pensa un personaggio, a quale mondo culturale fa riferimento…

Vai avanti.
Naturalmente ho ascoltato anche l’album “Wish you were here” dei Pink Floyd, sono arrivata a includere persino la copertina di questo disco nell’intreccio narrativo. È un capolavoro sotto ogni aspetto, con una qualità legata alla psichedelia che è molto adatta a descrivere lo stato di isolamento e di perdita di contatto con la realtà di chi soffre di problemi come quelli di Anna.
Claudia, oltre alla scrittura, hai anche un’importante carriera nel campo della formazione vocale e dell’organizzazione di eventi culturali. Come riesci a conciliare tutte queste attività? E qual è il progetto che ti sta più a cuore al momento?
È una bella domanda! In effetti, i miei giorni sono molto ricchi e diversificati. La formazione vocale e la direzione artistica del Festival Umbria in Voce sono per me attività molto stimolanti e gratificanti, perché mi permettono di entrare in contatto con tantissime persone, giovani e meno giovani, e di condividere con loro la passione per la voce e per la cultura. Al momento, il mio progetto più importante è proprio la direzione artistica del Festival Umbria in Voce, che porta la voce al centro della ricerca, offrendo esperienze formative e immersive in un territorio molto bello, dove natura, cultura, comunità, trovano la giusta valorizzazione.
È stato un piacere parlare con te, Claudia. Il tuo lavoro è davvero ispirante, e sono sicura che Uisciueriar continuerà a toccare il cuore di molti lettori. Ti auguro il meglio per i tuoi progetti futuri!
Grazie a te, Ilaria, per questa bella chiacchierata. È sempre un piacere condividere le proprie passioni con chi sa ascoltare. Spero che Uisciueriar possa accompagnare i lettori in un viaggio di emozioni e riflessioni. E chissà, magari ci rivedremo presto per parlare di nuovi progetti!
*
Concludiamo questa intervista con l’augurio che il libro di Claudia Fofi, così ricco di emozioni e riflessioni, possa continuare ad emozionare e a far riflettere chiunque decida di immergersi nelle sue pagine.
ILARIA SOLAZZO
LEGGI ANCHE: Michele Bruccheri intervista l’attrice Daniela Poggi e la cantautrice Mariella Nava
DANILA TRAPANI E IL SUO WORKSHOP AL TEATRO DI SERRADIFALCO: UN GRANDE SUCCESSO
Hai un blog sulla Sicilia, cronaca, cultura o turismo? Linka questo sito per offrire ai tuoi lettori un giornale unico!

Copia il codice e incollalo nel tuo sito o post.
Grazie per aiutarci a farci conoscere.
Creato da La Voce del Nisseno