Figura di spicco nel panorama culturale e civile italiano, Franco Arcoraci è un uomo che ha saputo reinventarsi mantenendo intatto il suo impegno per la legalità e la giustizia. Originario di Milazzo, in Sicilia, Arcoraci ha dedicato gran parte della sua vita al servizio dello Stato come poliziotto, ricoprendo incarichi di primo piano nella lotta alla mafia. La sua azione determinata gli è valsa importanti riconoscimenti istituzionali.
Conclusa la carriera nelle forze dell’ordine, ha intrapreso un nuovo percorso, immergendosi nel mondo dei media, della cultura e dello spettacolo. È editore di Telespazio Messina (canale 89) e volto noto al pubblico televisivo per la conduzione del programma “Amara Terra Mia”, che unisce informazione e denuncia sociale. La sua nuova missione è chiara: usare la forza della comunicazione e dell’arte per continuare a difendere i valori in cui crede.
Dal 2022, Arcoraci è direttore generale del Festival del Cinema Italiano, evento nato qualche anno prima ma capace di guadagnare, sotto la sua guida, un respiro internazionale. Il festival celebra il meglio della produzione cinematografica italiana, dai film ai documentari, fino ai cortometraggi, portando in Sicilia nomi di assoluto rilievo: Matt Dillon, Vittorio Storaro, Alfre Woodard, Rocco Papaleo e Ornella Muti, solo per citarne alcuni.
L’edizione 2023, svoltasi a Milazzo dal 7 al 10 giugno, ha visto l’assegnazione delle prestigiose “Stelle d’Argento” e l’introduzione del premio “Mare Milazzo” dedicato alla fiction, conferito alla popolare serie “Mare Fuori”. Nel 2024, il festival (itinerante) ha fatto tappa a Patti, con la cerimonia finale ospitata nell’imponente cornice del Teatro Greco di Tindari. In quell’occasione, il premio per il miglior film è andato a “The Penitent” di Luca Barbareschi.
Accanto al cinema, Arcoraci continua a distinguersi per il suo attivismo civile, come dimostra la sua denuncia pubblica contro l’inquinamento nella Valle del Mela, una battaglia condotta a viso aperto contro l’indifferenza delle istituzioni, a difesa dell’ambiente e della salute pubblica.
Il Festival del Cinema Italiano, oggi sostenuto dalla Regione Siciliana e da media nazionali come Rai Due e Rai News 24, è diventato un laboratorio culturale che fonde spettacolo, memoria e impegno civile. Un’eredità viva, costruita sulle fondamenta di un uomo che ha saputo trasformare la propria esperienza al servizio dello Stato in una piattaforma per dare voce al cinema e alla coscienza collettiva.

L’INTERVISTA
Il Festival del Cinema Italiano quest’anno si sposta in Umbria. Una novità importante.
Sì, è una scelta che mi emoziona molto. L’Umbria è una terra dal respiro intimo, profondo, che si sposa perfettamente con la visione che vogliamo dare al festival di quest’anno dove abbiamo scelto come location il bellissimo castello di Isola Maggiore, sul lago Trasimeno, grazie anche alla proprietà nella persona dell’ingegnere Francesco Storniolo: un cinema che unisce, che accoglie, che racconta le verità più intime delle persone. È un nuovo inizio, ma anche una continuità nel percorso di crescita del festival.
Tra le novità, spicca anche la scelta di Mirko Alivernini come direttore artistico di questa edizione. Cosa l’ha spinta a puntare su di lui?
Mirko è un innovatore, un inguaribile sognatore. È uno di quei registi che portano con sé una visione precisa, coraggiosa. La vita non è stata sempre generosa con lui, ha trovato molti ostacoli, ma non ha mai smesso di credere. Questo, per me, è un valore immenso. Punterò molto su di lui, perché credo che possa rappresentare un ponte tra il cinema tradizionale e quello moderno.
In che senso “ponte”?
Il cinema è in trasformazione. Le tecnologie cambiano, i linguaggi evolvono. Ma ciò che conta, per me, è tenere insieme la memoria e l’innovazione. Mirko ha questa capacità rara di raccontare storie moderne con un’anima antica. È esattamente il tipo di artista che può costruire un dialogo tra generazioni, tra forme narrative e sensibilità diverse.
Il festival è anche un riflesso della sua visione della vita?
Senza dubbio. Per me è fondamentale l’empatia. È il punto di partenza per ogni relazione umana, anche artistica. Il cinema che mi interessa è quello che tocca il cuore, che parla con sincerità. Ho sempre creduto nei valori veri: la lealtà, l’onestà, la condivisione. È su questi pilastri che fondo il mio senso della vita.
Lei parla spesso anche dell’amore. Quanto conta nella sua esistenza?
Moltissimo. Sono felicemente sposato con Giusy Venuti, compagna di vita e di lavoro, nonché responsabile dell’articolata produzione esecutiva della grande macchina organizzativa del festival. Considero l’amore un pilastro essenziale, tanto quanto la carriera. L’amore dà radici, dà senso, ti tiene saldo quando tutto intorno a te cambia. E poi… non si può parlare di cinema, di arte, senza parlare d’amore.

Ha conosciuto molti volti noti nel corso degli anni. Cosa ha visto dietro quelle facciate?
Molte maschere, e dietro di esse, spesso, fragilità profonde. Il successo può diventare una corazza, una difesa contro le insicurezze, i dolori, le mancanze. Ma è proprio lì che il cinema può intervenire: nel raccontare l’umano, nella sua interezza. Nessuno è solo ciò che appare.
In definitiva, cosa spera che il pubblico trovi nell’edizione umbra del Festival del Cinema Italiano?
Spero trovino verità. Non solo spettacolo, ma emozione autentica. Un cinema che accoglie, che fa riflettere, che unisce. E spero che incontrino l’anima dei film e degli artisti che li firmano. Perché dietro ogni storia, c’è una persona che ha avuto il coraggio di raccontarla.
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Osservare Franco Arcoraci è come guardare un uomo che ha scelto di vivere con coerenza tra il cuore e la realtà, tra la memoria e il futuro. Il suo sguardo è quello di chi ha conosciuto la notte, ma ha scelto di camminare verso la luce, portando con sé la forza di chi non dimentica le proprie ferite e le trasforma in missione. Ex poliziotto, regista, organizzatore culturale, ma prima di tutto essere umano. E forse proprio da questa umanità profonda e non filtrata nasce il senso più autentico del Festival del Cinema Italiano.
La decisione di portare il festival in Umbria quest’anno non è casuale. L’Isola Maggiore è terra di silenzi eloquenti, di colline che custodiscono storie millenarie con in vetta un magnifico castello, di un borgo che parla con il tempo. È un’Isola che ti accoglie senza clamore, ma con intensità. In questo spazio raccolto, Franco Arcoraci ha visto un luogo dove il cinema può ritrovare la sua funzione originaria: essere incontro, essere ascolto, essere ponte. Lontano dai riflettori artificiali e più vicino all’essenziale.

E poi c’è la sua scelta di puntare su Mirko Alivernini. Una scelta che dice molto. Non solo di Mirko, regista visionario e testardo, ma anche di Franco, che ha saputo riconoscere il valore nei margini, nelle storie meno celebrate, nei sogni mai domati. In un tempo in cui tutto corre, Arcoraci si ferma, ascolta, crea spazio per l’altro. Per chi ha qualcosa da dire, anche se nessuno ha ancora dato loro il microfono.
Il Festival del Cinema Italiano non è solo un evento. È lo specchio di un uomo che crede ancora che l’arte possa essere cura. Che l’amore – per le persone, per le storie, per il proprio mestiere – non è un lusso, ma un fondamento. In un mondo che spesso esalta la superficie, Franco Arcoraci cerca la verità. E per questo, oggi più che mai, serve ascoltarlo.
ILARIA SOLAZZO
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