L’ANALISI. Pasquale Petix: “La paura è anche una forza psicologica incontenibile che ha il potere  di addomesticare e deformare la democrazia”

Hic rhodus, hic salta (qui è Rodi, qui salta), è una frase tratta da una favola di Esopo, l’autore greco considerato l’iniziatore della favola come forma letteraria scritta. Nel racconto l’autore si rivolge a un fanfarone (che si vantava di avere spiccato un altissimo salto per toccare le sponde dell’isola di Rodi) e lo sollecita a ripetere l’impresa in qualsiasi momento e in qualunque luogo, per provarne la veridicità. E’ un’espressione, divenuta proverbiale, e si usa ancor oggi per mettere in ridicolo i gradassi, i millantatori e demistificare le loro vanterie.

Pasquale Petix

In una fase storica caratterizzata dal populismo dilagante verrebbe proprio da dire ai tanti capi populisti: Bene, “qui è Rodi, qui salta”. Ma il pensiero populista è sempre alla ricerca di un capro espiatorio a cui attribuire tutti i mali (i migranti, l’Europa e l’euro, i complotti) piuttosto che adoperare l’intelligenza per trovare una possibile soluzione ai problemi di portata storica che nessuno, ad oggi, può sostenere in modo credibile di avere la ricetta.

Nella storia dell’Italia repubblicana la vena populista è stata sempre visibile e profonda. Prima del recente exploit del movimento ispirato e guidato da Beppe Grillo si era manifestata sotto forma di movimento di massa, cioè come espressione di tendenze politiche e culturali radicate nella società e capaci di garantire un ampio consenso, in diversi periodi. Negli anni ’50 il populismo si era presentato con le sembianze del Fronte dell’Uomo qualunque. Sul finire degli anni ’80 con la Lega Nord. Nel 1994 con la nascita di Forza Italia e l’ascesa di Berlusconi. Tuttavia la sua influenza – sia come stile politico, sia come concezione della politica – è stata continua e consistente ed ha attraversato tutti gli schieramenti politici. In tal senso va decifrato, ad esempio, il populismo del primo Matteo Renzi. Il suo registro stilistico ha utilizzato consapevolmente l’uso della retorica (si pensi all’enfasi della “rottamazione” o la prassi governativa dei “bonus”) e le parole d’ordine proprie delle condotte populiste.

Renzi ha mutuato da Berlusconi la strategia di usare il linguaggio dei populisti nelle sedi istituzionali dell’UE proprio per prendere in contropiede i suoi contestatori e per dimostrare di essere contro i poteri forti. E’ chiaro che Renzi non poteva (e nemmeno potrà) essere populista fino in fondo proprio perché fa parte della classe politica e dell’establishment, da sempre e a pieno titolo, per quanto possa cercare di nasconderlo. Il fatto è che oggi la politica italiana pare tentata dal populismo strumentale di governo e da quello di opposizione. Ma il populismo è un fenomeno politico centrale anche in diversi altri paesi (come la Francia della Le Pen, l’Inghilterra della Brexit, negli Stati Uniti di Trump) ed è destinato a durare a motivo delle lunghe radici che scavano il terreno culturale. Intanto, in questa cornice, la sinistra vive il presente “ammaccata o sconfitta” e non riesce a interpretare o a rappresentare la società spaventata che vuole chiudersi, difendersi e che vuole risposte semplici a problemi complessi cercando sui motori di ricerca o fidandosi di capibastone semplificatori a convenienza.

Quali forme assumerà il populismo in futuro è difficile dirlo, ma è logico pensare che a questo punto nessun attore politico potrà fare a meno di contrapporsi e di affrontarlo sul suo stesso piano. In un mondo dilaniato dalle paure (terrorismo jihadista, neoschiavismo migratorio, economia globale, profondità delle diseguaglianze, incerto futuro dei figli sia per quelli disoccupati che per quelli precari e flessibili), il populismo – nelle sue varie declinazioni – prometterà l’impossibile proprio perché, oltre che pessima consigliera, la paura è anche una forza psicologica incontenibile che ha il potere di addomesticare  e  deformare la democrazia. E’ questa l’incognita più grave. A meno che il popolo, quello vero, non recuperi tutto il suo acume e la sua capacità critica e capisca che, anche in politica, abbiamo un grande bisogno di maestri. Maestri veri che coltivino la conoscenza e la saggezza e sappiano spiegarci come stanno le cose, secondo loro. Potrà accadere? Ai posteri l’ardua sentenza.

PASQUALE PETIX

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