L’EDITORIALE. «La fotografia è importante e racconta di noi, racconta per noi. Ieri come oggi» 

Quando termino un’intervista, oggi diventa spontaneo e naturale scattare una o più foto con la persona con la quale è avvenuta la conversazione. Capita anche che nel corso del colloquio ne vengano scattate altre, di fotografie. In passato, invece, era saltuario e raro. Almeno per me. Per svariate ragioni.

Di tanti intervistati, purtroppo, non ho un “ricordo” fotografico. Ma di tutti, grazie al cielo, ho un ricordo sonoro e visivo. In una sola e bella parola ho… il ricordo! Ricordo che fa parte della mia memoria personale e professionale. Ed oggi, con questo articolo, voglio semplicemente evidenziare il potente valore del ricordo, anche senza il supporto digitale o fisico di una fotografia.

Il direttore Michele Bruccheri a Torino

Non mancano le occasioni per scattare selfie o fotografie di vario genere. In passato c’era penuria, oggi invece c’è abbondanza. Tuttavia, si rischia veramente di trasformare questo secolo in un “Nuovo Medioevo”. In un’epoca quasi inaccessibile alla Storia. Le foto sono importanti, senza ombra di dubbio. Quelle fisiche, come quelle digitali. Per evitare il “deserto digitale”, dovremmo però essere più ligi al nostro dovere e stampare le foto che per noi rappresentano un prezioso tesoro. Perché se ci affidiamo soltanto alla memorizzazione digitale si rischia seriamente, poi, di avere difficoltà a poterle “vedere” le nostre belle foto.

Dovremmo essere più equilibrati. Come in tutte le cose. La fotografia è importante e racconta di noi, racconta per noi. Ieri come oggi. Ieri con la foto fisica, oggi con quella digitale che deve diventare anche fisica. Abbiamo diritto all’oblio (se ne fa un gran parlare), ma abbiamo anche diritto al ricordo. E nonostante il valore meraviglioso del ricordo che passa da una fotografia, è impagabile la bellezza del ricordo in quanto tale.

Come accennavo, di tanti intervistati – purtroppo – non ho un “ricordo” fotografico. E me ne rammarico. Ma di tutti ho un pregevole ricordo: sonoro, per le registrazioni che custodisco gelosamente; visivo, per l’esperienza reale vissuta che nutre la mia memoria umana e professionale.

Nel corso della mia lunga attività giornalistica, ho intervistato un sacco di personaggi. Una pleiade di persone. Dagli interpreti o protagonisti minori, del territorio, a quelli più famosi e popolari. Sebbene di tanti intervistati non abbia un documento fotografico – fisico e/o digitale – non potrò mai dimenticare la mia voce che interagisce con quella di quei personaggi. Quel ricordo sonoro diventa anche visivo e viceversa. Quei frammenti di eternità sono di inestimabile valore.

Tuttavia, lo confesso senza peli sulla lingua, mi piacerebbe avere almeno una fotografia con ciascuno di loro. Con Pierangelo Bertoli, che intervistai a Marianopoli (ricordo la sua tenera e squisita disponibilità, ma ormai è morto); con Fabio Concato, che intervistai a Bompensiere (ricordo che mi diede dieci minuti e invece parlammo per quasi il triplo); con padre Ennio Pintacuda, che intervistai a Mussomeli (ricordo la mia domanda sulla coerenza e lui fece una lectio magistralis); con don Luigi Ciotti e il magistrato Stefano D’Ambrouso, che intervistai a Canicattì (ricordo che veniva ricordato il giudice Livatino); con Franco Simone, che intervistai a Castrofilippo (ricordo che c’era anche un prete, suo amico).

Ed ancora: con Paola Turci (mi colpì il suo sguardo profondo), Amedeo Minghi (ci fu un aspro confronto dialettico), Pupo (fu affabile), Eleonora Vallone (le pagai la cena), i senatori Angelo Giorgianni e Raniero La Valle, Adele Faccio, Pierferdinando Casini, Calogero Mannino, Pietro Folena, Ottavio Sferlazza… L’elenco continuerebbe a lungo, ma mi fermo.

I ricordi possono essere paragonati al “delta di un fiume” in grado di ricevere molti affluenti che, per vie secondarie, poi, si avvia verso un’unica foce. E il ricordo, indubbiamente, è una sorta di “carburante” della memoria. Esso – il ricordo – trattiene e dispone i fatti gli uni di seguito agli altri. Conserva, ricrea, ricostruisce. Tutela il passato e lo fa diventare presente, futuro, eternità.

Noi non siamo nulla se non ciò che ricordiamo di essere stati. E il ricordo è anche costruzione della nostra identità con tutti i valori che porta con sé. Il ricordo non è mai una lastra passiva. Ha una dimensione dinamica e creativa. Ricordare, oggi, le foto che non ho, rispetto a quelle di cui dispongo abbondantemente significa dare valore al ricordo e ai “ricordi” del cuore.

Un inno al ricordo, un canto alla memoria che passa appunto dal “ricordo”. Selfie e fotografie servano, dunque, a nutrire i nostri ricordi, sia personali che professionali. Certamente irrobustiscono i ricordi (ricchi di emozioni e sentimenti) e li rendono meravigliosamente imperituri.

MICHELE BRUCCHERI

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