L’ANALISI. Il clima sociale sta mutando a una velocità incredibile e non c’è dubbio che la scuola deve contrastare la mentalità razzista che sta montando

Pasquale Petix

Da diverse parti arrivano sollecitazioni al mondo della Scuola (ai Dirigenti, ai professori) per promuovere nei vari istituti azioni didattiche per affrontare le problematiche oggi più spinose quali la crisi della democrazia, il razzismo, la xenofobia.

Le adesioni sono arrivate, copiose e senza difficoltà. Ma il bello sopraggiunge quando dai propositi di massima si deve poi passare alla pratica quotidiana. Il primo scoglio si ritrova nell’idea che parlando a scuola di eventi o fatti di attualità davvero si riesca a produrre – automaticamente – capacità critica negli alunni. Purtroppo la realtà ci dice che certe “manifestazioni” incidono solo per qualche minuto sull’attenzione perché la gran parte degli alunni, dopo qualche momento di emozione, si concentrano ossessivamente sui loro smartphone.

D’altro canto non si può davvero pensare che basti qualche dibattito nell’aula magna per creare consapevolezza tra i ragazzi. Il “pensiero critico” si conquista con lo studio serio, con l’introspezione, con il confronto dialettico anche aspro, ma intellettualmente onesto. A tal proposito, in modo assolutamente pertinente, Augusto Cavadi ricorda che: “Quando si consuma il rito delle occupazioni (con tutta la gamma di fantasiose varianti), i ragazzi parlano di ciò che si legge sui giornali e si vede in televisione. Il risultato: escono dalle lezioni “autogestite” molto più confusi di come vi entrano”.

La scuola non può stare dietro la cronaca, le emergenze vere e quelle inventate dai media. Piuttosto deve offrire un linguaggio di base e soprattutto una griglia interpretativa, un “centro di gravità permanente” e quando è il caso, cantava Battiato, “cambiare idea sulle cose e sulla gente”. 

Questa capacità di osservare e di passare al vaglio la realtà, la si può costruire anche leggendo Omero o Pirandello piuttosto che il Diario di Anna Frank o i discorsi di Martin Luther King, mentre è possibile che la realtà scivoli via partecipando ad un convegno sul razzismo solo per uscire dall’aula e saltare la lezione.

Con questo non si vuole dire che i dibattiti, i convegni e le manifestazioni in genere rappresentino tempo perso. Si vuole dire che prima bisogna lavorare “in classe” sulla partecipazione attiva degli alunni, altrimenti l’obiettivo di sensibilizzare si perde dietro all’opportunismo e al chiacchiericcio.

Il clima sociale sta mutando a una velocità incredibile e non c’è dubbio che la scuola deve contrastare la mentalità intollerante e razzista che sta montando, ma lo deve fare con gli strumenti giusti.

In primis ricordando che è “un luogo di costruzione culturale” dove l’apprendimento è tutt’uno con la pratica del dialogo e dell’argomentare.

PASQUALE PETIX

(L’autore dell’articolo

è sociologo, docente universitario          

ed editorialista del nostro giornale)

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