Un artista brillante e di grande intensità scenica. Attore catanese dalle notevoli doti interpretative e dall’impareggiabile comicità 

Un artista versatile e duttile, di grande intensità scenica. Un artista brillante che ha creato un personaggio celebre e divertente, dal colorito umorismo. Enrico Guarneri, famoso nei panni di Litterio Scalisi, è un grande attore catanese, di notevoli doti interpretative e dall’impareggiabile comicità. Ma è soprattutto un uomo straordinario sul piano umano: gentile, cortese, disponibile.

Mi concede una lunga intervista ed è un fiume in piena. Lo spettacolo teatrale che proporrà in serata è travolgente, bello, perfetto. Farò i complimenti, a conclusione, all’affabile e bravo attore etneo, indiscusso protagonista, al serradifalchese Vincenzo Volo e al direttore artistico del teatro comunale “Antonio De Curtis” di Serradifalco, Angelo Palmeri. E la standing ovation, al termine dell’esibizione, è meritata, storica, da “incorniciare”.      

Una domanda di prassi, caro Enrico: come e quando nasci, artisticamente parlando?

Artisticamente, nasco nel lontano 1976. A San Giovanni La Punta con una compagnia dilettantistica. Metteva in scena “L’eredità dello zio canonico”. Fui contattato ed accettai la richiesta di farne parte. Proprio allora, dunque, iniziò la mia avventura teatrale.

Dal punto di vista affettivo e poi professionale, a chi ti senti maggiormente legato?

Non è facile rispondere. Io sento parlare molto ed ho letto anche di Giovanni Grasso. Ma non ho mai avuto la fortuna di vederlo recitare. Leggevo, di recente, che un grande studioso di teatro inglese definì Giovanni Grasso di Catania come il più grande attore drammatico della storia del teatro di tutti i tempi. Ho visto recitare altri grandi attori catanesi. Citarli tutti è praticamente impossibile. Ho avuto il modo di ammirare il grande Turi Ferro. Ha lasciato un segno fortissimo.

Ci puoi tratteggiare, con vaghe pennellate, lo spettacolo teatrale de “L’avaro” di Moliere di stasera? Quali sono i punti cardini, i momenti salienti della rappresentazione scenica?

Moliere insieme a Shakespeare è sicuramente il più grande drammaturgo di tutti i tempi del teatro occidentale. La grandezza di Moliere si esalta in maniera incommensurabile, fondamentalmente, in tre opere. E una di queste è certamente “L’avaro”. Un testo scritto attorno al 1640. Dunque, circa quattro secoli fa. Abbiamo conservato i passaggi più importanti che danno il segno al lavoro e l’abbiamo rimpolpato con qualche modernità. Che il buon Moliere ci perdoni! L’abbiamo anche trasposto in Sicilia, farcendo l’italiano di battute nostre dialettali. Inserendo una particolarità, nella personalità già complessa e contorta di Arpagone (…). Abbiamo aggiunto quella che potrebbe essere la nota di folclore siciliana. Quella che Verga ci ha trasmesso con il Mastro Don Gesualdo: l’attaccamento alla “robba”. Non è un’avarizia sottile, fine. Diventa più grottesca, più “terragna” perché c’è l’avarizia siciliana. C’è dunque anche un po’ di Verga. Abbiamo voluto assolutamente far ridere. Abbiamo fortemente pigiato il pedale della comicità (…).

 

 

Quando usi il plurale, ti riferisci – credo – allo zampino nisseno della regia di Antonello Capodici: vero?!

Sicuramente. Ma anche a quella che è la mia vena di attore. Antonello non mi ingabbia. Durante le prove mi lascia libero. Ci conosciamo da tempo. Non ho mai creduto in uno spettacolo teatrale concepito da una sola testa. Ci vuole un’intesa corale.

Ci vuole dunque una intelligente sinergia tra le varie componenti…

Ci vuole soprattutto grande stima reciproca. Senza finzione, senza ipocrisia. Solo così la gente di valore, messa insieme, può concertare e partorire un grandissimo spettacolo.

Vi esibite, oggi, a Serradifalco, paese del bravo e brillante attore Vincenzo Volo. Una collaborazione, tra voi, che dura da anni, proficuamente. Quale “colore” associ a Vincenzo?

Vincenzo è sicuramente uno tra i migliori attori comici caratteristi che io abbia incontrato. E ne ho incontrati molti. E già questo è un grosso complimento. Una volta un grande uomo di teatro mi disse: un attore prima dei 40 anni non è niente. E’ un laboratorio. Deve avere la sensibilità di imparare. Deve studiare. Deve rapportarsi con la sala. Vincenzo è sulla giusta strada. Deve avere pazienza. Deve saper aspettare. E saper “rubare”. Questo è un mestiere dove si “ruba”. E lui lo fa. In modo intelligente e proficuo. Attraverso le sue corde, la sua sensibilità. Ha le carte in regola per vivere di questo lavoro. Il grande dramma per chi fa teatro è vivere di teatro. Di teatro si muore. Una volta entrai in casa di un regista e trovai la seguente frase, incorniciata: “Non si vive di teatro, si vive per il teatro”. Il teatro dà le emozioni che né la Tv né il cinema possono dare.

A proposito di televisione! La tua esperienza, ormai, è lunga, soprattutto con Antenna Sicilia del bravo collega Salvo La Rosa. Come nasce questa intesa?

Dopo 11 anni, l’esperienza televisiva diventa leggermente traumatica. Litterio è un miracolo vivente. Non esiste personaggio televisivo che riesce a catalizzare, a continuare a piacere al pubblico. Dietro la maschera di Litterio c’è un attore. Sono un attore molto istintivo e le cose che faccio nascono in automatismi…

Come per il grande Totò?

Esatto. Come il grande Totò… Da qualche anno mi sento dire, da diverse direzioni, di essere l’unico che si è rinnovato. Mi sarò rinnovato, ma non me ne sono accorto! Quindi, otto anni di collaborazione sul palco e di amicizia… Ormai è diventato facile lavorare con lui a fianco! Ti dirò: ci basta il canovaccio. Siamo tornati alla commedia dell’arte. Sapere da cosa comincia lo sketch, come prosegue e come finisce. Poi, ce lo gestiamo noi. Ci divertiamo. Quante volte l’hai visto ridere in scena?! Tante volte! Minchia, si diverte (ride, ndr).

Ricordi come è nato il personaggio di Litterio Scalisi?

Guarda, nasce forse nella maniera meno nobile. Ho lavorato sino a dodici anni fa. Facevo teatro, in modo assiduo. Un numero notevole di rappresentazioni. Però non avevo il coraggio di abbandonare il mio lavoro di geometra per darmi al teatro (…). Tony Musumeci, che è stato per tanti anni il mio impresario, mi disse: concepisci uno spettacolo dove tu sei solo. Una specie di showman. Una performance d’attore, un monologo che funzioni. Pagherei solo te e i tecnici. Mi sono messo di buona lena. Inventai e costruii questo spettacolo. Una bella porzione era retta dal personaggio Litterio. Che nasce per emulare, imitare, un mio amico di infanzia quasi. Mi raccontava spesso le cose che gli succedevano. Quando la sera la cerchia di amici si allargava, lo imitavo. La gente si divertiva. Il nome Litterio è rarissimo nel catanese.

E questo tuo amico non si è mai accorto della parodia?

Non so se se ne sia reso conto (ride, ndr). E’ un simpaticone.

Quale messaggio o consiglio daresti a chi vuole fare teatro?

Lo faccia. E’ un sogno, una meraviglia. Se va bene equivale ad essere stati autorizzati a giocare tutta la vita. Lavorare divertendosi.

MICHELE BRUCCHERI                

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