Dostoevskij
Leonardo Costa

Fin dalla sua comparsa sul treno Varsavia – Pietroburgo, il principe Myskin ci appare come un “diverso”, come un essere inadatto a vivere nel mondo, perché troppo buono, troppo altruista, troppo “idiota”. Il principe vive in un suo mondo, guidato da un amore che però è diverso da quello comunemente inteso. Il suo è un sentimento univoco, spesso, anzi quasi sempre, non corrisposto. Il suo amore è senza speranza e senza futuro, eppure è un sentimento molto forte, che guida il principe in ogni sua azione, in ogni suo comportamento.

Tutto il romanzo ruota intorno al protagonista che, entrando in contatto con la realtà e con gli altri personaggi, appare incapace di adeguarsi al cinismo dilagante, alla meschinità che si trova ovunque, al vuoto di valori che caratterizza una società che ha perso i propri punti di riferimento e si è, inesorabilmente, allontanata dal bene e dall’amore.

Il principe Myskin, con la sua disarmante bontà d’animo, la sua ingenua innocenza è destinato ad essere sconfitto perché non sa affrontare i personaggi meschini che lo circondano con altrettanto cinismo e violenza, anzi si pone nei loro confronti in modo assolutamente inadeguato, quasi offrendosi indifeso ai loro attacchi. Ma è proprio questo suo essere buono che alla fine, nonostante le varie sconfitte e le innumerevoli sofferenze che gli vengono inferte dalla vita e dagli uomini, lo innalza al di sopra di tutto e di tutti.

La grande lezione morale di Dostoevskij sta proprio nel mettere a confronto questo essere puro, questo idiota con una umanità malvagia e priva di valori e nel farne il vero vincitore, nonostante le indiscutibili ed innumerevoli sconfitte che è costretto a subire, impotente e incapace di difendersi con le stesse armi dei suoi nemici.

La bellezza salverà il mondo, afferma il principe, quasi a volere esorcizzare la decadenza morale della società russa di quel periodo, contrapponendo ad essa il mondo dell’arte, del bello, dei valori. Per Dostoevskij, infatti, tra il bello e il bene esiste un legame quasi misterioso e indiscutibile. La bellezza è armonia, è ordine, da contrapporre al disordine della realtà, al caos provocato dagli uomini, ormai sempre più lontani dagli insegnamenti cristiani e dalla strada indicata da Cristo.

L’ideale del bello, che risale a Platone, è vissuto intensamente da Dostoevskij. La sua seconda moglie, Anna Grigor’evna, racconta che lo scrittore volle a tutti i costi recarsi a Dresda, nonostante la sua salute sempre precaria, per vedere dal vivo la Madonna velata col Bambino, di Raffaello, che era stata acquistata da Agusto III di Polonia e portata nella città tedesca. Quando arrivò a Dresda, Dostoevskij volle subito recarsi a vedere il dipinto del grande maestro urbinate.

Dostoevskij
Leonardo Costa

Racconta la moglie: “Mio marito percorse tutte le sale senza fermarsi e mi condusse direttamente dinanzi alla Madonna Sistina. Egli considerava questo quadro come il più grande capolavoro creato dal genio umano. In seguito lo vidi fermo per ore intere davanti a quella visione di bellezza impareggiabile, che egli ammirava con tenerezza e trasporto”.

L’ideale della bellezza, in Dostoevskij, va di pari passo con la ricerca della salvezza. Anzi, si può dire, senza tema di essere smentiti, che il grande scrittore russo in tutta la sua opera ha cercato la strada per la salvezza attraverso la sofferenza e il pentimento. Ognuno porta la sua croce, ognuno deve trovare in sé stesso la sua strada per giungere alla salvezza. Raskolnikov si macchia di un delitto terribile, uccide una vecchia usuraia per derubarla, per appropriarsi della sua ricchezza accumulata sfruttando i poveri e i bisognosi. Ma una volta compiuto il delitto, non riesce nemmeno a utilizzare un solo rublo sottratto alla vittima, sopraffatto da un senso di colpa e dalla consapevolezza di avere commesso un’azione terribile.

Sarà grazie all’aiuto di un essere puro, Sonia, una povera ragazza costretta a prostituirsi per vivere e mantenere la propria famiglia, che Raskolnikov troverà la forza di confessare il suo delitto e di accettare la pena degli uomini e quella divina. L’omicida così abbraccia il castigo, lo accetta consapevole che solo attraverso un percorso di espiazione potrà raggiungere la salvezza promessa da Dio agli uomini.

Ma è nei Fratelli Karamazov che la lezione morale di Dostoevskij raggiunge l’apice. Attraverso le vicende dei vari Alesa, Ivan, Dmitrij e Smerdiakov, il grande autore russo dipinge una società in disfacimento, intrisa di violenza e di peccato, con qualche rara eccezione rappresentata dal puro Alesa, il cui amore verso il prossimo lo avvicina al principe Myskin, l’idiota, il puro, il buono. Ma Alesa è destinato a soccombere in un mondo dove primeggiano personaggi come il fratello Ivan, che in una sorta di delirio allucinato, arriva ad accusare Dio di aver lasciato gli uomini in balia del libero arbitrio, nonostante, per la loro stessa natura, gli uomini non siano in grado di sostenere tale potere. Anche qui la colpa e l’accettazione della sofferenza, unitamente alla ricerca dell’amore universale e di Dio, si intrecciano tra loro, facendo di questo libro “enorme”, una pietra miliare della letteratura di ogni tempo.

Il principe Miskyn, Raskolnikov, i fratelli Karamazov e un po’ tutti i protagonisti dei romanzi del grande scrittore russo, percorrono vie diverse, soffrono, sbagliano, cadono, si rialzano. Ma tutti tendono ad una sorta di rigenerazione morale, per avvicinarsi all’idea di amore universale che è alla base della poetica di Dostoevskij. Questo anelito alla salvezza, questo vedere la luce in fondo al tunnel buio del peccato e dell’amoralità fa sì che la sua concezione, così profondamente intrisa di cristianesimo e fede, si distacchi dal pessimismo senza speranza di Emile Zola: per Dostoevskij c’è sempre la possibilità di salvarsi, anche se ciò impone un percorso di sofferenza e di espiazione delle proprie colpe.

Non è facile leggere Dostoevskij, entrare nel suo mondo, seguire i suoi personaggi così profondamente combattuti. A volte risulta essere un’esperienza quasi “disturbante” perché ci mette di fronte alle miserie dell’animo umano, alla parte più buia dell’uomo, perché ci porta a fare i conti con noi stessi e con le nostre debolezze, perché ci costringe a rivedere i nostri punti di riferimento e le nostre fragili certezze. Ma si tratta di un’esperienza necessaria perché non ci può essere un vero progresso morale e spirituale se non attraverso un percorso di crisi e di sofferenza interiore.

Nell’anno del bicentenario della nascita dell’autore russo, ci piace ricordare la sua lezione, sempre così attuale, soprattutto in periodi di crisi, quando i valori di una società vengono messi in discussione e quando tutto intorno sembra crollare. I valori morali che sono alla base di ogni società, sembrano cedere il passo, sopraffatti da una realtà liquida, dove c’è spazio solo per la ricerca del proprio piacere o del proprio interesse, in una continua corsa verso il domani, dove anche la cultura viene banalizzata tra una consultazione veloce di Wikipedia e la quotidiana lettura delle migliaia di notizie che circolano sui social senza alcuna certezza sulla loro provenienza, attendibilità e serietà. Forse sarebbe il caso di spegnere il pc o lo smarphone e sfogliare qualche pagina di uno dei tanti capolavori dello scrittore moscovita. Di certo il nostro animo ne risulterebbe notevolmente arricchito.

LEONARDO COSTA

(Avvocato)

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