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Michele Bruccheri

Scrivere un editoriale è sempre un’impresa bella e impegnativa. Avevo diversi propositi, per questa nuova edizione. In merito all’odierno pezzo che apre il giornale, ho scartato le varie ipotesi in campo (nella mia mente). Mi oriento a pubblicare, dunque, questo articolo che intendo titolare: Memoria, identità e pensieri spettinati.

Nelle scorse settimane, tra incontri ai quali ho partecipato (in alcuni come pubblico, invitato, in altri invece come moderatore e presentatore) e diverse interviste, il fil rouge è stato – per sintetizzare – appunto il titolo di questo editoriale: Memoria, identità e pensieri spettinati.

Sono stato impegnato a coordinare, ad esempio, la presentazione di un libro. Un volume che racconta con la forza delle immagini e la potenza della fotografia una comunità. Elogiando il ruolo del suo autore, ho asserito – in quella circostanza – che bisogna essere davvero un abile tessitore, un tenace e paziente ricercatore di pepite d’oro. In virtù di questo lavoro, certosino e prezioso, si dona quindi la memoria alla collettività.

Immagini e parole, contenute anche in questo giornale, rappresentano una sorta di album di famiglia. Materiale prezioso che appartiene a questi luoghi, che diventano vasti, immensi, grazie soprattutto alla mitica rete. E sentire il sacro profumo della memoria è cosa assai gradevole, bella, dirompente e seducente.

Da sempre, il nostro primario impegno è stato coltivare la memoria. Essa – la memoria – ci fa essere quelli che poi siamo. Ci fa diventare qualcosa o qualcuno. Ci fornisce una sorta di identità personale. La memoria è, dunque, identità di noi stessi. Vale ovviamente come persona e vale come comunità. A mio avviso, la memoria è la preziosa capacità di conservare il nostro essere. Ecco allora che la nostra identità ha bisogno di riappropriarsi del nostro passato (ripeto: il ragionamento è valido per le singole persone e per la collettività, in generale).

L’identità è, in ultima analisi, riconoscersi ad essere riconoscibili. Sapere chi siamo stati, chi siamo. È lì il nocciolo di ciò che saremo. L’identità è sempre memoria. E noi, umilmente e pazientemente, dobbiamo dialogare in maniera corretta con essa, con la memoria. Dobbiamo far tesoro del nostro passato. Custodire e difendere i nostri valori. Ecco: la memoria ci aiuta a costruire la nostra identità.

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Fratel Biagio Conte

Memoria, identità e pensieri spettinati. Quante riflessioni si possono fare! Si potrebbe scrivere del legame che c’è tra memoria e identità, della memoria smarrita e inquieta, del valore del dialogo, della Cultura con la C maiuscola, del fascino della conoscenza… Ma in questo editoriale che contempla i “pensieri spettinati”, intendo porre un paio di elementi per bussare alle nostre coscienze.

Nei mesi scorsi, a gennaio, ci sono stati due fatti importanti. Dapprima, la morte di fratel Biagio Conte. E dopo qualche giorno, la cattura del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Due storie diametralmente opposte. Il primo, il missionario laico, dal sorriso solare e avvolgente, dagli occhi puliti e inclusivi; il secondo, un criminale crudele e pericoloso. Entrambi siciliani: uno per la vita e per il prossimo, l’altro per la morte e per sé stesso, per la sofferenza degli altri e della nostra terra ormai in ginocchio.

La nostra amata Sicilia, dunque, non è soltanto Riina, mafia, degrado… è anche e soprattutto, fratel Biagio, padre Pino Puglisi, Falcone, Borsellino (abbiamo, tutti, un grande debito di gratitudine), nuova coscienza civica, voglia di riscatto… Sono esempi che colorano l’arcobaleno della speranza.

E allora, nutriamo le nostre vite di passione civile. Resistiamo all’ingiuria del tempo. Non si vive soli, ma insieme agli altri. Evitiamo di cadere nelle trappole delle banalità. Cerchiamo di “essere” e di essere “per”. Per me, per gli altri. Per noi stessi. “Per” è una preposizione e non è altro che un legame, un anello di congiunzione tra le esperienze. Tra le persone. Dobbiamo costruire, tutti quanti però, nuovi e solidi ponti, non muri. Dobbiamo essere, sempre, contro i muri alzati.

Fratel Biagio Conte (ho avuto l’onore di presentare, nei giorni scorsi, una bella iniziativa in sua memoria) ci ha insegnato il valore dell’accoglienza, del sorriso, del prendersi cura degli ultimi. Questo umile e pragmatico missionario laico, che ha fatto una seria scelta francescana, con il suo esempio ha voluto seminare la speranza. È in odor di santità, ho scritto subito dopo in altri articoli online sul sito del nostro giornale. Ed è vero.

Dobbiamo incominciare ad amare di più, a conoscere di più, queste figure eccezionali. Raccontarle come meritano. Non bisogna dare eccessivo spazio informativo ai criminali. Troppa esposizione mediatica. Devono essere narrati soltanto nel loro iter giudiziario. Bisogna evitare anche gli evanescenti dibattiti social. Lì c’è gente che sembra di spiegare tutto e non spiega nulla. Inutilmente. Bisogna, invece, parlare e dire cose sensate, scegliere con grande cura le parole. Serve, a mio avviso, avere la curiosità intellettuale che muove il mondo: saperne sempre un po’ di più.

Mostriamo allora sane emozioni e stupore. Mettiamole, poi, nella cornice dorata dei ricordi. Dobbiamo imparare ad illuminare il palcoscenico dei ricordi di ognuno. Facciamola crescere, veramente, questa bella terra. C’è bisogno di tutti, tranne delle poche mele marce. E noi, tutti, sappiamo che insieme si vince: sempre. Non c’è storia senza memoria.

Questo giornale con l’odierna edizione arriva a ben ventuno anni di vita. Gli ultimi, credetemi, sono stati duri, pesanti, difficili. Di rado, c’è stato qualche cenno alle inevitabili difficoltà. Ci sono ancora. L’impegno è superarle. Con l’aiuto di ciascuno. Sappiate, però, che non è facile, semplice, proseguire questo percorso nella versione cartacea. Trovo corretto e giusto fare questo vago cenno, qui ed oggi, perché del domani non c’è certezza.

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Michele Bruccheri

Chi crede in questa “voce”, libera e autorevole dell’informazione, faccia la sua parte. Come può, come meglio può. Perché se si dovesse spegnere questa “voce”, il buio sarebbe per questo territorio. Un impoverimento informativo e culturale. Un naufragio della democrazia, un danno per tutti.

La morte di un giornale, cartaceo, di una voce nel panorama dell’informazione sarebbe (ed è) una sconfitta per tutti. Va detto, va scritto chiaramente. Senza reticenze o peli sulla lingua.

Siamo partiti dai concetti di memoria, identità e pensieri spettinati. Abbiamo mantenuto questa linea, nel nostro umile ragionamento. E avendo in famiglia, io, qualcuno che sa di pettine, vado subito a pettinare questi pensieri.

MICHELE BRUCCHERI   

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