referendum
Il giornalista Totò Benfante e Marco Cappato

A quasi tre anni di distanza dalla sentenza emanata dalla Corte costituzionale sul processo cosiddetto “Cappato/Antoniani” (dj Fabo), il Parlamento si è ricordato del richiamo emanato dalla stessa Corte. Ha, però, dimenticato le poco meno di un milione e trecentomila firme raccolte sul referendum “Eutanasia legale” promosso dall’Associazione Luca Coscioni. La maggior parte delle quali raccolte ai tavoli allestiti in tutt’Italia dall’associazione, di cui Marco Cappato è tesoriere. Quelle “digitali”, infatti, sono state poco più di trecentomila. Nonostante la sentenza della Corte costituzionale abbia valore di legge sull’aiuto assistito, infatti, gli onorevoli rappresentanti del popolo, facenti parte delle Commissioni congiunte affari sociali e giustizia, hanno approvato un testo a tratti peggiorativo rispetto alla sentenza. E, laddove non lo sia, superfluo.

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Il giornalista Totò Benfante e Marco Cappato

Gli onorevoli rappresentanti di quel popolo che, a stragrande maggioranza, si dice da tempo favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia, non hanno inteso eliminare una palese discriminazione. Quella che la sentenza instaura sui malati che non sono tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale. Come, ad esempio, gli ammalati terminali di cancro. In Commissione, inoltre, non sono stati fissati tempi certi per fornire una riposta ai malati. Insomma, pare che i rappresentanti del popolo abbiano anche dimenticato lo scaricabarile che nelle Marche, da quindici mesi, si registra su Mario, il paziente tetraplegico che, a seguito della sentenza della Consulta sul “caso Cappato”, ha chiesto alla Asl cui appartiene che gli siano riconosciute le condizioni previste nella sentenza per accedere alla morte assistita. In Italia e non più, come è più volte accaduto (fatto anche questo forse dimenticato in Commissione), all’estero.

Non paghi di tutto ciò, gli onorevoli rappresentanti del popolo, nel testo approvato, hanno introdotto tutta una serie di elementi peggiorativi. Relativamente alla cosiddetta “obiezione di coscienza”, alla sofferenza psichica e alle cure palliative. L’auspicio è che il testo, una volta giunto nelle aule del Parlamento, sia emendato. Ma forse potrebbe essere dimenticata anche questa possibilità. Di certo, una mano di aiuto potrà darlo il referendum sull’Eutanasia legale. Le cui firme, forse ricorderanno gli onorevoli rappresentanti del popolo, sono già state validate dalla Corte costituzionale. Referendum che, spero sappiano gli onorevoli rappresentanti del popolo, riguarda un diverso articolo del codice penale. Il 579, sul cosiddetto “omicidio del consenziente”. E che, quindi, dovrà ugualmente tenersi, anche in caso di approvazione, da parte del Parlamento, della legge sull’aiuto al suicidio. Che riguarda invece, spero sappiano gli onorevoli rappresentanti del popolo, l’articolo 580 del codice penale.

Forse gli onorevoli rappresentanti del popolo ricorderanno che alla raccolta di firme sul referendum, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, si è giunti a distanza di quindici anni dalla richiesta di eutanasia rivolta da Piergiorgio Welby, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il quale, nell’augurare che il tema fosse affrontato, aveva affermato “che il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l’elisione di ogni responsabile chiarimento”. Ad otto anni dal deposito di una legge di iniziativa popolare sulla Eutanasia legale, dimenticata nei cassetti e, quindi, mai discussa, nonostante proposta dal popolo onorevolmente rappresentato. E a due dalla sentenza con la quale la Corte costituzionale si pronunciava sul processo intentato a Marco Cappato per il reato di “aiuto al suicidio”. Con la quale aveva escluso la punibilità nel caso di “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Come nel caso di “dj Fabo”, per il quale Cappato ha rischiato la galera. Sentenza che aveva sì affermato il diritto all’autoderteminazione e aperto la strada all’aiuto al suicidio assistito, ma che, appunto, per due anni e oggi, anche più, è rimasta inapplicata. Forse gli onorevoli rappresentanti del popolo ricorderanno che il referendum sull’Eutanasia legale è stato promosso “per dare la parola ai cittadini su questo tema”. Nella convinzione che “nessuna persona può dirsi davvero libera, senza avere riconosciuto un diritto. Quello di disporre della propria vita e, nel caso, decidere come e quando mettere fine alla propria malattia”.

TOTÒ BENFANTE

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