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Gianluca Ascione

“Abbiamo il dovere di profondere la Cultura della legalità”, dichiara al termine della nostra lunga intervista. Gianluca Ascione, parlando del libro “Incolpevoli per aver commesso il fatto”, che narra la storia della studentessa universitaria Cristina Pavesi, vittima della mafia del Brenta nel dicembre 1990, ci consegna i suoi pensieri, la sua riflessione, il suo talento narrativo.

Veneto, classe 1975, Ascione risiede tra Roma e Treviso (sua città natale). Uno scrittore attento, sensibile, che ha già vinto parecchi premi letterari. Riconoscimenti che sono “carburante”. In nove anni, ha già pubblicato sette volumi. Eccolo al nostro microfono, proprio oggi, Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Ci parli del libro “Incolpevoli per aver commesso il fatto”? Ricordo anche che il volume ha un sottotitolo: Storia di Cristina Pavesi, vittima della mafia del Brenta.

Il libro narra per l’appunto la storia di Cristina Pavesi, studentessa universitaria che andò incontro al suo tragico destino il 13 dicembre 1990 quando il treno su cui viaggiava affiancò un altro convoglio che nel frattempo era stato assaltato da sei uomini afferenti all’organizzazione criminale denominata “mafia del Brenta”: la deflagrazione seguita all’innesco di esplosivo al plastico causò la morte di Cristina che venne investita da una miriade di schegge. Il titolo, che pare quasi un ossimoro, vuole sottolineare la vicenda processuale: nessuno dei sei uomini che presero parte alla rapina, pur ammettendo l’addebito, ha pagato in termini di pena rispetto alla morte di Cristina in quanto il reato ipotizzato, cioè la “morte o lesioni come conseguenza di altro delitto”, cadde in prescrizione.

Andiamo nel dettaglio. Il libro comprende ben quattro grandi capitoli. Cosa descrive il primo segmento?

Nel primo capitolo viene ripercorsa, attraverso la testimonianza diretta della zia Michela (che ha collaborato alla stesura del libro), di alcuni amici e compagne con cui ha condiviso il percorso scolastico, la breve vita di Cristina Pavesi: la nascita, la crescita, le fragilità adolescenziali, il percorso scolastico, le amicizie, gli amori.

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Il libro

Poi c’è il secondo capitolo. Si entra nel “vivo” della storia. È così?

In questo capitolo descrivo passo dopo passo ciò che avvenne il 13 dicembre 1990: come il commando criminale si preparò per compiere l’assalto al treno, la dinamica della rapina, la deflagrazione dell’esplosivo al plastico, il panico provocato tra i passeggeri, le difficoltà dei soccorsi, la tragica morte di Cristina. La ricostruzione di quei terribili momenti è stata ricostruita attraverso le testimonianze fornite nell’immediato dai passeggeri dei due treni e da quelle rese in interrogatorio e poi ribadite in dibattimento dai sei uomini che perpetrarono il reato.

Con la terza parte, si “parla” delle indagini. Ma anche dei funerali di Cristina. Raccontaci i passaggi salienti…

In questo capitolo c’è molta carne al fuoco. Innanzitutto vengono descritte con minuzia di particolari le indagini svolte dalla Procura di Padova e dalle forze dell’ordine, la caccia ai possibili attori del piano criminoso, la mancata cattura per sfortunate circostanze nella determinazione delle analisi scientifiche; ma non solo.

Prosegui, Gianluca.

Un ampio spazio viene dedicato a quelli che ho definito “effetti collaterali”: le testimonianze, da me personalmente raccolte, di alcuni dei feriti più gravi che, ancora oggi, portano addosso le conseguenze fisiche e psicologiche di quella terribile esperienza; la dolorosa vicenda di un indagato che nulla c’entrava col fatto; il dramma vissuto da centinaia di famiglie che pagarono sulla propria pelle l’immissione di fiumi di droga, diffusa sul mercato dal gruppo criminale del Brenta. Un paragrafo è dedicato ai funerali di Cristina che segnarono in maniera profonda la collettività, non solo del paese di origine della ragazza, ma dell’intero Veneto. Infine, tratto l’epilogo della vicenda giudiziaria e racconto l’incontro tra due degli uomini che presero parte alla rapina e la zia di Cristina.

C’è anche – se non erro – la collaborazione di Felice Maniero… Ricordo bene?

Dopo l’ultima di una lunga serie di catture, avvenuta il 12 novembre 1994, il boss della mafia del Brenta decise di collaborare con la giustizia consentendo, di fatto, di smantellare l’organizzazione criminale e di fare (parzialmente) chiarezza sulla dinamica della rapina al treno in cui Cristina perse la vita. Ci tengo però a sottolineare come Maniero si sia definito un collaboratore e non un pentito: le sue parole – Io non credo a nessuno che si sia pentito perché è stato unto dal Signore. Nessuno. Al 99,9% ci si pente per convenienza: io non mi sarei pentito se non c’era una legge favorevole – sono emblematiche perché fanno comprendere come in lui non ci sia stato un reale pentimento nel senso di un forte e significativo rincrescimento sul piano morale. Paradigmatico che abbia atteso 28 anni per “fare le scuse” alla famiglia di Cristina durante l’intervista condotta da Roberto Saviano.

Infine, c’è il quarto capitolo. Lo definisco “Spazio alla memoria”. Ci illustri l’ultima parte?

Nel quarto capitolo si illustrano le varie iniziative attuate per ricordare e onorare la memoria di Cristina, in particolare sulla intitolazione della ex villa di Maniero, che dopo la confisca è divenuta centro di associazioni con finalità sociali.

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Gianluca Ascione

Viene fatto anche un rapido excursus sulla tipologia mafiosa: è così?

Sì. Ho ritenuto utile, se non doveroso, fornire qualche coordinata in merito all’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 416 bis del c.p., Associazione a delinquere di stampo mafioso, che ha sancito come il sistema mafioso non possiede, per usare le parole del giudice Francesco Saverio Pavone, “le stimmate della sicilianità”, ma piuttosto è un metodo mutuato anche da altre realtà criminali (com’è stato, con le dovute differenze, nel caso dell’organizzazione del Brenta) che si avvale del vincolo dell’associazione, avendo il controllo del territorio attraverso lo spargimento del terrore e godendo dell’omertà, anche solo parziale, della collettività.

Chi fosse interessato al libro, dove può trovarlo?

Il libro può essere reperito o ordinato in qualunque libreria, oppure attraverso le numerose piattaforme digitali come Amazon, Ibs, Mondadori Store, Feltrinelli, giusto per citarne alcune. Per chi lo desidera, esiste anche la versione in e-book.

Hai in programma delle presentazioni?

La prima presentazione c’è stata pochi giorni dopo l’uscita del libro: abbiamo perfino rischiato che i libri non arrivassero in tempo in libreria! Il mese di marzo sarà costellato di eventi legati alla Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie: non solo librerie, dunque, ma anche amministrazioni comunali che hanno raccolto il mio invito con l’augurio di poter coinvolgere in un prossimo futuro anche le scuole per portare una testimonianza alle generazioni più giovani.

Chi l’ha letto, come si è espresso sul volume?

I più grandi complimenti che mi sono stati rivolti sono due: il primo di aver trattato una storia dai contenuti complessi con uno stile narrativo che facilita la lettura e la comprensione; il secondo, di aver trattato un caso molto doloroso con una certa dose di sensibilità e di non aver “esaltato” le imprese criminali svolte da Maniero & C. ma, al contrario, di averle demonizzate e trattate secondo l’equazione illegalità=morte.

Tu sei un autore prolifico. Ci fai un breve bilancio della tua attività editoriale?

Devo dire che fa un certo effetto guardarsi alle spalle! Sette libri editati in nove anni non sono esattamente una passeggiata… se ripenso (permettetemi, quasi con tenerezza) al primo romanzo pubblicato posso dire di aver fatto sempre dei piccoli ma significativi passi in avanti; credo di aver migliorato sempre qualcosa: lo stile, la snellezza della scrittura, la capacità di strutturare una storia, di approfondire i personaggi. Ma non mi sento “arrivato”: c’è sempre da migliorare!

“Le Canaglie del Venerabile”, un thriller storico, ha ottenuto un prestigioso riconoscimento. È vero?

Se sia prestigioso non lo so (ridacchiando, ndr). Posso dire che sì, ha vinto un premio riservato alla sezione gialli e thriller e che è giunto terzo in un concorso di genere riservato alle case editrici indipendenti, perciò si tratta di un doppio riconoscimento!

Il periodo pandemico ha, indubbiamente, inferto un pesante colpo alla Cultura. Da tempo, siamo ritornati alla normalità. Qual è lo stato di salute della Cultura, dal tuo punto di vista?

La Cultura ha sì subito un duro colpo durante i due anni di pandemia perché l’interdizione dalle rappresentazioni in presenza ha certamente limitato molti campi artistici come il teatro, il cinema, le mostre d’arte e, per quanto mi riguarda, le presentazioni dei libri. Tuttavia, guardando il bicchiere mezzo vuoto, la pandemia ha sviluppato nuove forme di comunicazione come le chat in videochiamata e, comunque, ha fatto successivamente crescere una gran voglia di eventi… non tutto il male viene per nuocere!

Qual è, infine, il messaggio-appello che consegni ai nostri lettori digitali?

Un messaggio che vorrei lasciare ai lettori digitali, soprattutto sulla scorta della mia ultima pubblicazione, è di andare oltre gli stereotipi e non additare la Sicilia come la sola madre della cultura mafiosa e dell’omertà che per lunghi tratti l’ha accompagna: grandi passi avanti sono stati fatti, a partire dalle stragi del 1992, dalla società civile siciliana, talvolta pagando un prezzo molto alto; tutti noi, nel nostro piccolo, in qualunque parte ci troviamo, abbiamo il dovere di profondere la Cultura della legalità. Bastano piccoli gesti, gocce uniche che compongono il mare della giustizia.

MICHELE BRUCCHERI

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