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Campetto di calcio in Viale Regina Margherita

Un’ordinanza del sindaco di Caltanissetta Roberto Gambino prescrive che non si possa giocare a calcio in piazza o lungo gli assi di Corso Umberto I e Corso Vittorio Emanuele. Questo, a seguito di ripetuti episodi che, la scorsa estate, hanno visto protagonisti dei ragazzini appartenenti a famiglie che provengono da paesi extracomunitari e che abitano in centro storico.

Essi sono stati colti a giocare a calcio, più volte, nei luoghi storici e monumentali della città. Al di là delle consuete, inevitabili polemiche, la questione ha sollevato anche il problema della mancanza degli spazi sportivi in città. Un tema importante, sicuramente sottovalutato, soprattutto negli ultimi anni.

Di recente, attraversando Viale Regina Margherita, più volte ho notato un gruppo di ragazzini non italiani che, un po’ goffamente ma gioiosamente, giocavano a calcio nello spazio dove un tempo c’era il monumento ai caduti della cosiddetta “Grande Guerra”. Ma anche, qualche anno dopo, in quel rettangolo adiacente al viale dove io e i miei amici trascorrevamo mezzi pomeriggi o intere giornate, in estate, giocando a calcio.

Negli ultimi venti anni, questo luogo è stato prima un parcheggio abusivo e poi uno di quegli spazi residui, inesorabilmente abbandonati e dimenticati. E adesso, invece, grazie a questi ragazzini che appartengono a famiglie che provengono da paesi extracomunitari e che abitano nei quartieri, nelle vie, nei vicoli e nei cortili del centro storico, torna in qualche modo a vivere. Devo ammettere che ho provato una certa emozione e anche una certa nostalgia. Ma non una nostalgia del passato, bensì una “nostalgia del futuro”.

Insomma: il mondo va avanti, il mondo cambia anche da queste parti, dove i grandi eventi, le grandi storie contemporanee, come la terribile crisi afgana, sembrano lontane e invece in qualche modo riguardano anche la nostra comunità cittadina. Come non ricordare la triste vicenda di Ibrar, il cittadino afgano che abitava a Caltanissetta da quasi dieci anni, rimasto ucciso negli attentati all’aeroporto di Kabul dove era tornato per portare qui, al centro della Sicilia, la moglie e il figlio.

Mi sono chiesto: quanti di noi sapevano, sanno di cittadini afgani a Caltanissetta? E di cittadini pachistani, siriani, yemeniti, nigeriani, senegalesi? Tanti mondi, tante piccole realtà, persone – uomini, donne, anziani, bambini – che cercano di vivere la loro vita qui, tra noi, nonostante tutto. E dove abitano queste persone? Dove sono le loro case, se hanno una casa? Nel centro storico di Caltanissetta, ovviamente. Ovvero in quei luoghi originari della città che noi nisseni abbiamo abbandonato da tempo, e forse per sempre.

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Il professor Leandro janni

E allora diciamocelo chiaramente, lucidamente: nelle condizioni date, è praticamente impossibile che la popolazione nissena – di età medio alta, in decremento, con figli e nipoti costretti ad andare via per potere trovare lavoro e realizzarsi – possa ritornare ad abitare in centro storico. Insomma, il progetto di recupero, di rigenerazione, di rinascita del nostro centro storico non può non basarsi, anche, sull’insediamento, l’integrazione e la valorizzazione di nuovi, molteplici gruppi di cittadini che nei loro paesi non possono più vivere, abitare.

Un progetto complesso, che ha bisogno di intelligenza, cultura, lungimiranza. Un progetto comunque possibile, e io dico auspicabile, se non vogliamo condannarci a un inesorabile declino. Se non a una implacabile scomparsa.

Di certo, noi nisseni, negli anni a venire saremo ancora più vecchi. E pertanto, ci domandiamo perché non si riesce a considerare il prezioso contributo di risorse giovani che può venire dell’immigrazione? Perché perseverare in questa ipocrisia, in questa ottusa paura che taluni alimentano e far finta che il fenomeno non esista, relegando la “questione immigrazione” tra le cronache dei naufragi e dei respingimenti, o negli squallidi “centri per immigrati”, anziché considerarla – la questione immigrazione – un’autentica opportunità per rimettere in moto il futuro? In altre realtà, anche a noi assai vicine come Enna, lo stanno facendo. Con specifici, seri progetti di integrazione e formazione per giovanissimi immigrati. Perché non lo facciamo anche noi?

Scrive Italo Calvino nell’immaginifico saggio-racconto Le città invisibili: «È inutile stabilire se Zenobia (Caltanissetta) sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati».

Prof. Leandro Janni

(Presidente regionale di Italia Nostra Sicilia)

 

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