“Bruciati vivi”
Daniela Stallo

È un noir il secondo libro della scrittrice Daniela Stallo, tornata in libreria con “Bruciati vivi” (Arkadia, Collana Eclypse). Fatti di sangue e indagini si intrecciano a un racconto di scuola, di donne, di desideri e ricerca della felicità.

“Bruciati vivi”
Rubrica per “La Voce del Nisseno”

Daniela, hai scritto un noir e un libro sulla scuola allo stesso tempo. Ci presenti Luisa e la sua storia, con un accenno alla trama di “Bruciati vivi”?

Luisa Marinai è un’insegnante pendolare da trent’anni e racconta, in una cronaca-diario, un anno scolastico. Vive in città, in un appartamento in zona 167 e viaggia ogni giorno su una strada tra nebbia e acqua, ondate d’acqua. Sente un suono nell’orecchio, un vuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu che la angoscia dentro il cuscino, crede che provenga dai cantieri navali, ma non ci sono cantieri navali, nelle vicinanze. Stanca, demotivata, disillusa, si sente non gratificata e malpagata, l’emicrania la trafigge come una spina di rosa conficcata in un punto variabile della testa.

Continua.

Il marito, che gestisce un negozio di ferramenta, è ossessionato da una partita di trapani difettosi, non vede altro. Luisa non ama più gli alunni, l’amica, i genitori. Si nutre di pastina al burro e buste di funghi surgelati. Lo svilimento della sua vita sta anche nel suo frigorifero. È inseguita da una Golf che la perseguita sulla superstrada, un tizio con gli occhi blu la spaventa, la tallona, la sorpassa, e lei vorrebbe, con un punteruolo, bucare quegli occhi di ghiaccio. Luisa vorrebbe uno stipendio diverso, un uomo dirigente diverso. Vorrebbe un altro lavoro, ma le basterebbe un trasferimento, una sede più vicina, senza la strada e la pioggia, perché spera ancora che ci sia una scuola che possa renderla felice.

Prosegui.

Crede, in fondo, che in un lavoro migliore stia la felicità e chiede ai suoi colleghi di esprimere i propri desideri, che cosa vorresti ci fosse nella scuola per essere felice? Li trascrive in liste ossessive, ha in animo di mandarle al Ministro. Viaggia con un bloccasterzo, le serviva, un tempo, come antifurto dell’auto, ora lo tiene nella bauliera, la fa sentire al sicuro. Poi un giorno, a novembre, in maniera non del tutto lecita, Luisa viene in possesso di una somma di denaro, letteralmente e materialmente caduta dal cielo. Pensa che la sua vita finalmente potrà cambiare. E invece un paio di omicidi si mettono sul suo percorso: qualcuno muore, in questo viaggio di follia tra strada, camion, pioggia e persone invisibili.

“Bruciati vivi”
La copertina del libro

Dietro alla storia di Luisa si cela la Sindrome del burnout… spiegaci meglio.

Forse prima si chiamava esaurimento nervoso lo stress psicofisico del lavoratore, non solo dell’insegnante. È una patologia, con le sue fasi, il suo processo, i sintomi. Ne parlo non certo da tecnico, non da esperto, da medico, è solo una narrazione, una storia.

Vai avanti…

Prima di scrivere, e durante la formazione del libro, perché niente fosse improvvisato, ho consultato gli studi del dottor Lodolo D’Oria, che da anni si dedica al problema, e altro materiale. I bruciati vivi sono i lavoratori, il tema è lo stress psicofisico del docente, in una scuola differente da quella a cui siamo abituati a pensare, grigia, non rassicurante, frustrante, dove colleghi e studenti non sempre si amano e non sempre sono amati. Il tempo e la disillusione incidono fortemente sulla condizione del lavoratore.

Continua…

La routine, la demotivazione, la percezione dell’inutilità, lo scollamento, l’alienazione sono sintomi della patologia, a volte il lavoratore, ormai fragile, sperimenta insieme situazioni di mobbing. Di certo la vita privata, la famiglia, le relazioni più o meno forti, sono determinanti per diventare un soggetto in burnout. E in questo libro, in particolare la situazione è aggravata dal pendolarismo. Il pendolarismo è faticoso, faticosa la strada, che divide posti e persone, la pioggia, lo straniamento di un luogo che non riesce ad appartenerti e dove vivi solo per un periodo del giorno. Ancora di più per una donna che, tutt’oggi culturalmente, si accolla la gran parte delle incombenze domestiche, un altro lavoro dopo il viaggio di rientro. Luisa, prima di tornare a casa, resta qualche minuto in auto, ascolta il silenzio, guarda l’appartamento dal cortile, aspetta, si ferma dentro il sedile, prima di avviarsi.

Troviamo dei tratti autobiografici in lei essendo anche tu un’insegnante?

Si scrive, inizialmente, di quello che si conosce. È inevitabile che il libro faccia riferimento a situazioni conosciute, alla cronaca di una giornata di lavoro, e a persone che ho incontrato in anni di lavoro nella scuola. Anche se le situazioni non sono rispondenti al vero, ma solo spunti di partenza per la narrazione e le persone, ormai diventati personaggi, sono un mosaico di volti e vite. Il pendolarismo è raccontato perché vissuto, o i meccanismi scolastici sono una cronaca conosciuta, ma soltanto in questo senso il libro è autobiografico: spesso i lettori me lo chiedono, hanno desiderio di scoprire il vero dietro la finzione, necessaria, eppure devo dire che la storia è di fantasia, la famiglia della protagonista è costruita, i luoghi sono non luoghi, esistono solo come impressioni e suggestioni di posti vissuti.

In chiusura, il libro è anche una denuncia? Ovvero, che cosa cambieresti nel mondo della scuola? C’è una tua lista dei desideri?

Il libro è una storia, è vero che esiste una questione sullo sfondo, ma resta una storia, una trama, qualcuno muore, non subito, ma muore, qualcuno indaga. Non ci sono soluzioni, il libro non è un saggio, non vuole dare risposte, e del resto sarebbe presuntuoso, vuole soltanto narrare una storia. C’è, nel libro, a dicembre, una lista dei desideri di Luisa, lei ci mette di tutto, un’auto con l’aria condizionata, la pizza, un convegno di aggiornamento col buffet. Personalmente, la mia lista non l’ho neppure cominciata.

LISA BERNARDINI

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