Ci sono artisti che disegnano sogni. E poi c’è Alberto Ponno, che li aerografa con una precisione straordinaria. Nato a Roseto degli Abruzzi nel 1945, Ponno ha vissuto una vita che sembra uscita da un romanzo d’altri tempi: figlio di un gentleman driver, cresciuto tra le curve delle corse e i nomi leggendari della storia automobilistica, ha saputo trasformare la passione per i motori in arte, passando dal rumore dei pistoni al silenzio concentrato dell’aerografo.
Dopo un passato da tecnico motorista nel reparto sperimentale dell’Alfa Romeo, nel cuore pulsante del Portello, Alberto Ponno ha scelto di dedicarsi completamente al disegno fotorealistico che ha imparato da autodidatta. Senza l’ausilio di maschere o stencil – lavora esclusivamente a mano libera – utilizza ancora oggi lo stesso strumento acquistato negli anni Ottanta.
Le sue opere, autentiche fotografie dipinte, raccontano l’epopea delle auto da corsa degli anni ’50 e ’60. Ogni dettaglio – una scritta, un riflesso, una sfumatura – è frutto di centinaia, a volte migliaia, di ore di lavoro paziente e meticoloso.
Collaboratore di Ferrari, Maserati e Alfa Romeo, premiato nel 2004 negli Stati Uniti con il prestigioso “Vargas Award”, Ponno è considerato oggi uno dei maestri indiscussi del fotorealismo automobilistico. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo telefonicamente e di ascoltare dalla sua viva voce il racconto di una vita in corsa, tra arte, passione e memoria.
Buongiorno Alberto, grazie per essere con noi oggi. Partiamo subito con la prima domanda: racconti, ai nostri lettori, in cosa sei specializzato?
Buongiorno a te, cara Ilaria, e grazie per l’invito. Sono specializzato in disegni fotorealistici ad aerografo e ritratti fotorealistici.

Come ti sei avvicinato al mondo del disegno fotorealista ad aerografo?
La mia passione per il disegno è sempre stata presente fin da quando ero bambino. Ho iniziato a disegnare con matita e colori pastello, ma è stato solo dopo aver scoperto l’aerografo che ho trovato la mia vera vocazione. L’idea di riuscire a riprodurre l’incredibile livello di dettaglio che posso ottenere con questo strumento mi ha affascinato fin dal primo momento. Mi sono avvicinato a questa disciplina da solo, da autodidatta.
Interessante! E cosa ti attrae di più nel fotorealismo, rispetto ad altri stili artistici?
Per me è una sfida. Ogni volta che inizio un lavoro cerco di superare i miei limiti e avvicinarmi il più possibile alla realtà. Mi piace l’idea di riuscire a trasmettere emozioni e storie attraverso immagini che sembrano vere, ma che sono il frutto di un lavoro di pura tecnica. È come se riuscissi a creare una realtà alternativa, ma con un livello di dettaglio così alto che chi osserva non riesce a distinguere la finzione dal reale. Questo aspetto di “illusionismo” mi stimola molto.
tua professione ha origini lontane… Puoi raccontare, ai nostri lettori, i tuoi esordi?
Molti anni fa, quasi un secolo fa, nel 1925, un giovane gentleman driver gareggiava nelle corse in salita a bordo di una Bugatti Gran Prix celeste. Era mio padre. In quegli stessi giorni, a Modena, un signore, che si occupava di auto da competizione in un locale chiamato “Garage Gatti”, modificò per lui un’Alfa Romeo RLSS. Il suo nome era Enzo Ferrari. All’epoca non costruiva ancora macchine da corsa. Nel 1950, mio padre mi portò a vedere la prima gara di Formula 1, la Coppa Acerbo: avevo 5 anni, il circuito era quello di Pescara.
Prosegui…
C’erano Fangio, Fagioli, e “l’Alfetta 158″. Ero ancora lì nel ’57 per vedere la battaglia tra Moss su una Vanwall e Fangio su una Maserati. Già allora, disegnavo quelle macchine, ma non mi bastava: io volevo correrci. Così nel 1967, giunsi come tecnico al reparto motori sperimentali dell’Alfa Romeo, presso il leggendario “Portello” a Milano e cominciai a correre, con una GTA1300 iniezione. Il primo propulsore me lo fece apposta un meccanico della squadra corse di Fangio degli anni ‘50, Giulio Sala, detto “il Saletta”, che nella “Mille Miglia” del 52/53 partecipò alla sfida sulla macchina di Fangi, il leggendario “Disco Volante”.
Vai avanti nel racconto.
Restai nel campo delle gare fino ai primi anni ’80, come preparatore di vetture da turismo. Poi… ornai al primo amore: disegnare auto. Comprai un aerografo, lo stesso che uso ancora oggi, un “Paasche vjr”. Ho imparato ad usarlo a mano libera, non ho mai utilizzato una maschera o stencil nella mia lunga vita di motoring artist. Dipingo utilizzando un vecchio proiettore per diapositive. Molti lo fanno, ma non lo dicono, io non solo lo faccio, insegno la tecnica ad altri. Non uso la matita, non faccio schizzi, non utilizzo gomme. Dipingo direttamente con il mio aerografo, quindi niente errori! Ogni linea, ogni cerchio, ogni scritta e tutti i colori (ne ho solo tre, i primari), sono realizzati direttamente sotto la proiezione. Ogni opera richiede moltissimo tempo, centinaia, a volte migliaia di ore di lavoro.

Tutta questa esperienza ti ha permesso di lavorare per nomi importanti… giusto?
Sì. Ho lavorato per tutte le principali case automobilistiche italiane: Ferrari, Maserati, Alfa Romeo e tante altre. Nel 1990, quando l’Alfa Romeo, correva nelle gare americane della formula Indy, disegnai, per conto della casa milanese un quadro da regalare a fine stagione al loro pilota, Roberto Guerrero. Lo stesso feci nel ’91 per Dennis Sullivan. Ho realizzato l’ultimo lavoro per la Ferrari in occasione della presentazione della Enzo, nel 2004. Quello stesso anno ho anche ricevuto, negli Stati Uniti, il “Vargas Haward” dalla più importante rivista di aerografia del Mondo ‘Airbrush Action’ il cui editore acquistò un mio quadro.
L’aerografo è uno strumento che permette un controllo molto fine dei dettagli. Quali sono le principali difficoltà che hai incontrato nel perfezionare questa tecnica?
Sicuramente una delle principali difficoltà iniziali è stata quella di imparare a controllare lo strumento. Non è solo questione di “spruzzare” la vernice; bisogna essere in grado di regolare la pressione, la distanza, l’angolo, la velocità del movimento. Ogni piccolo dettaglio può fare la differenza. Inoltre, il fotorealismo richiede un’enorme pazienza: ci sono lavori che durano settimane, altri mesi o anni. La cosa che più mi ha insegnato questa tecnica è che ogni errore, ogni piccola sbavatura, può compromettere l’intero disegno, quindi la precisione è fondamentale.
Come scegli i soggetti per le tue opere? C’è qualche fonte di ispirazione che prediligi?
La maggior parte dei miei soggetti proviene dalle auto da corsa. Prendo ispirazione da fotografie particolari che mi colpiscono per la loro composizione o l’atmosfera che riescono a evocare e cerco di ricrearle facendole mie. Una delle cose più complicate è rendere a colori foto originarie in bianco e nero.
Il fotorealismo è un genere che richiede una grande quantità di tempo e dedizione. Come gestisci il processo creativo? C’è una fase che trovi più stimolante o che ti soddisfa di più?
Ogni fase del processo ha il suo fascino, ma la parte che trovo più stimolante è quella iniziale, quando inizio a definire i contorni e a far emergere i primi dettagli. C’è una sorta di magia nel vedere un’immagine prendere forma davanti ai tuoi occhi. La parte finale, quella in cui aggiungo i dettagli più sottili e la luce, è altrettanto gratificante, perché è proprio lì che il lavoro acquisisce vita. Quello che mi soddisfa di più è il momento in cui l’opera sembra quasi “respirare”, quando riesco a ottenere quel livello di realismo che mi ero prefissato.

Hai insegnato la tua arte attraverso corsi e workshop… raccontaci.
In effetti, ne ho parlato più volte con alcuni colleghi. Penso che sia importante condividere le proprie conoscenze e aiutare gli altri a sviluppare la loro passione. Ho lavorato a qualche workshop in passato, e la cosa che mi entusiasma di più è vedere gli studenti crescere, scoprire la loro capacità di utilizzare l’aerografo e la tecnica del fotorealismo. Mi piacerebbe continuare su questa strada, perché ogni volta che insegno, trovo nuovi modi di vedere e comprendere la mia stessa arte. Purtroppo, il mio attuale stato di salute non me lo consente. I corsi che ho tenuto io erano circoscritti a un solo studente al quale passavo – in tre giorni – buona parte del mio sapere. Aprivo le porte della casa nella quale all’epoca risiedevo per far conoscere l’Alberto Ponno persona e professionista.
Ultima domanda, qual è il consiglio che daresti a un giovane artista che vuole intraprendere questa carriera nel disegno fotorealistico?
Il mio consiglio principale è di non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. La strada per diventare un bravo artista è lunga e piena di ostacoli, ma è anche incredibilmente gratificante. Bisogna essere pazienti, non temere di fare errori e soprattutto essere curiosi. Ogni progetto è un’opportunità per imparare qualcosa di nuovo. E, infine, è fondamentale dedicare tempo a perfezionare la tecnica: il fotorealismo richiede tanta pratica, ma quando riuscirai a vedere i risultati, capirai che ne è valsa la pena.
***
Conversare con Alberto Ponno è stato come aprire un album di ricordi incisi non solo sulla carta, ma nell’anima. Le sue parole, dense di passione e memoria, raccontano molto più di una semplice carriera artistica: parlano di un uomo che ha saputo fare della precisione una forma di poesia, del dettaglio una dichiarazione d’amore verso la bellezza meccanica e la storia delle corse.

La sua arte non è solo tecnica. È pazienza, rigore, visione. È l’incontro tra un mondo che correva veloce – quello dei motori – e un gesto lento e calibrato – quello del suo aerografo. In un’epoca in cui tutto tende alla velocità e alla riproduzione digitale, l’approccio artigianale e quasi meditativo di Ponno diventa un atto di resistenza, un invito alla riscoperta del tempo, dell’imperfezione umana, della cura.
Alberto ci insegna che non esistono scorciatoie per raggiungere l’eccellenza, e che ogni linea tracciata con coscienza può raccontare una storia. Le sue opere non si guardano soltanto: si ascoltano, come si ascolta il rombo di un motore che ha fatto la storia, o il silenzio di una passione che non ha mai smesso di battere.
Grazie, Alberto, per aver condiviso con noi il tuo viaggio. Un viaggio che, come i tuoi disegni, non smette mai di affascinare.
ILARIA SOLAZZO
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