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Adriana Pannitteri

Un sogno realizzato: è quello dell’incontro tra la giornalista Adriana Pannitteri e la professione che svolge ormai da molti anni. Un sogno iniziato fin dai tempi delle scuole medie e alimentato dalla tenacia che è una delle sue caratteristiche principali, oltre che una risorsa per chiunque voglia arrivare al top.

Un percorso professionale abbastanza lineare, visto che Adriana Pannitteri ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo televisivo già negli anni ’90 per poi diventare, nel 2001, conduttrice del Tg1. Dal 2009 al 2012 si è dedicata alla cura e alla conduzione della trasmissione “L’Intervista”, una rubrica del notiziario. Nel suo curriculum vanta anche il ruolo di conduttrice del programma “UnoMattina Estate”.

Oltre ad essere conduttrice e giornalista, è anche un’autrice di libri, molto spesso con tematiche forti come il femminicidio. Recentemente, ha voluto omaggiare una figura leggendaria della nostra tv con un’opera a lei dedicata, dal titolo “Raffaella Carrà, la ragazza perfetta” (editore Morellini, 208 pagine, 20 euro).

Adriana stessa ne ha raccontato la genesi, attraverso un brano del suo libro: “Quando vidi la prima volta, Raffaella Carrà era in televisione ballava il Tuca Tuca. I miei genitori erano seduti in poltrona nel salotto di casa divertiti e, al mio arrivo, imbarazzati”. Questo primo incontro si è poi sviluppato tanto che la Pannitteri ha voluto dedicare un volume alla “ragazza perfetta”, soubrette molto conosciuta tanto in Italia che all’estero, in particolare in America Latina.

Solitamente ti occupi di cronaca e con i tuoi libri ci hai svelato varie sfaccettature del dolore, come nel caso dei reportage sui femminicidi. Questa volta ti sei voluta cimentare con un racconto più lieve alla ricerca dell’anima della Carrà. Raccontaci…
Mi sono sempre mossa da cronista per raccontare le persone. Mi piace esplorare l’animo umano e andare in un certo senso in immersione. La chiave di lettura su fatti gravi e dolorosi o su vicende più lievi è sempre la conoscenza e l’ascolto mettendomi in gioco con le mie emozioni. La Carrà ha attraversato la storia di questo Paese ed è indimenticabile. Non solo una icona, ma una donna che ha incarnato il desiderio di libertà e testimoniato che si può vincere in un mondo dominato da dinamiche spesso al maschile. Penso che oggi sarebbe stata in prima linea per difendere i diritti delle donne con il suo linguaggio spensierato e aperto e avrebbe condannato ogni forma di violenza.

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Il libro

Stiamo parlando di una donna che non ha mai fatto ricorso a scorciatoie. Che cosa ha rappresentato la Carrà, a tuo avviso, nell’immaginario collettivo?
Raffaella è nell’immaginario collettivo non solo del nostro Paese, ma di tutto il mondo. In Spagna, quando lei arrivò la prima volta, era appena finita una dittatura buia e sanguinosa. Lei riuscì a trasmettere, forse anche inconsapevolmente, un messaggio di rinascita e di gioia. In America Latina, con scenari abbastanza simili, lei è stata considerata davvero come una regina. Ma una regina popolare, umana, raggiungibile in grado di comunicare con tutti.

Il percorso di Raffaella si è snodato tra musica, ballo, cinema e televisione ed è forse l’unica donna dello spettacolo italiano ad aver attraversato con la sua fama ben due continenti. Di lei cosa ti affascinava?
Di lei affascinava l’enorme empatia. Una volta, nel corso di una intervista con Vincenzo Mollica, lei si definì un videoclip vivente. Spiegava che per comprenderla dovevamo ascoltare e guardare e in un certo senso abbracciarla per avvertire tutta la sua energia. Nel mondo dello spettacolo è difficile trovare figure così complete in grado di far sognare donne, uomini, adulti e bambini. Tutto questo era frutto di una tenacia e di una competenza straordinaria oltre che di capacità innate e istintive.

Raffaella Carrà era un’artista a tutto tondo che è rimasta nel cuore di tutti, nonostante la sua scomparsa (che ha lasciato un vuoto immenso). Perché pensi che non nascerà mai più una come lei?
Non so se nascerà un’altra come lei. Il mondo della tv è cambiato e il varietà ha fatto il suo tempo. Ma non vedo all’orizzonte al momento altre figure così. Era una grande professionista, capace di sacrificarsi per provare prima dello spettacolo ore e ore. La prima ad arrivare e l’ultima ad andare via. Esigente ma critica anche verso sé stessa. Lei è unica e inimitabile non solo per il suo caschetto biondo ma per la grinta e per la luce che emanava.

Quanto tempo hai impiegato per la realizzazione di questo tuo ultimo progetto editoriale?
È stato un progetto veloce che ha preso spunto dalla realizzazione l’anno scorso insieme alla regista Cinzia Perreca di uno Speciale Tg1 dedicato proprio a Raffaella e che domenica prossima verrà trasmesso nuovamente dalla Rai in seconda serata a due anni dalla morte. Nel titolo “Carramba che Carrà” c’è la sintesi della sua vita. Al libro poi ho lavorato praticamente di notte nei pochi spiragli che mi sono conquistata rispetto ai turni in redazione. Mentre scrivevo mi sono chiesta se le persone che di solito leggono i miei libri avrebbero accettato questo cambio di passo ma poi mi sono lanciata e sono contenta dei risultati ottenuti.

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Adriana Pannitteri

Tanti i volti noti che ti hanno rilasciato le loro testimonianze per rendere speciale il tuo omaggio scritto a Raffaella Carrà. Sei soddisfatta?
Sì, ho avuto la collaborazione per il libro di alcuni personaggi noti ma soprattutto delle persone a lei care che il grande pubblico non conosce e che sono state in un certo senso la sua famiglia. A loro sono estremamente grata perché hanno aperto l’album dei loro ricordi. Anche quelli più privati. Ne viene fuori una gustosa raccolta di aneddoti e di situazioni incredibili che descrivono la determinazione di Raffaella e alcuni aspetti inediti. La sua morte è stata un fulmine a ciel sereno. Non aveva raccontato la sua malattia e perderla è stato un dolore faticoso da elaborare.

Stai lavorando a un altro libro? Quali sono i tuoi progetti lavorativi per il futuro?
Sì, sto lavorando a un nuovo saggio sul femminicidio. Un tema che, purtroppo non possiamo lasciare da parte. Con i precedenti libri sull’argomento ho avuto la possibilità di dialogare con i giovani nelle scuole. C’è molta fragilità e solitudine e purtroppo assistiamo a forme di violenza che attraversano tutte le età. Inutile parlare di pene più severe se non introduciamo un lavoro serio di prevenzione e di educazione ai sentimenti.

ILARIA SOLAZZO

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