“Mondo è stato”
Michele Burgio

Sul podio al Festival Giallo Garda, appena una settimana addietro. Un prestigioso terzo posto, dopo essere stato uno dei finalisti. “Mondo è stato”, romanzo d’esordio dello scrittore Michele Burgio, pubblicato circa un anno fa, è amato, apprezzato, stimato come lo è il suo autore. Il giallo racconta, vivacemente, l’epica della provincia, ne scopre i suoi luoghi, i suoi sapori, le sue magagne, i suoi tic, i caratteri e, sovente, i fatti rimasti sotto la cenere.

La penna elegante e incisiva di Burgio sa fare tutto questo. Un solido debutto letterario, dunque. Piovono gli apprezzamenti e le presentazioni. Sempre un grande successo, bagno di folla. E l’autore siciliano (ha il cuore a Serradifalco, vive e lavora a Palermo) ringrazia per l’entusiasmo forte e convinto su di lui, sul libro. Con naturalezza e garbo, ci parla del romanzo. Ma anche, sollecitato dal giornalista, dei suoi gusti musicali, degli autori prediletti…

Qualcuno disse che i giallisti lavorano sulla realtà, “mai i nostri personaggi sono delle metafore”. Michele Burgio, in questa lunga chiacchierata, racconta e si racconta, senza peli sulla lingua. Classe 1982 (quarantenne, quindi), è laureato in Lettere. È un rigoroso studioso di Linguistica e abilitato al ruolo di docente universitario. Insegna, attualmente, materie letterarie in un Istituto d’istruzione statale superiore serale a Palermo.

È un tenace cultore della tradizione popolare siciliana. Ama, riusciamo a sapere, gli scritti dei demologi di fine Ottocento e la musica popolare siciliana. Ha pubblicato un lavoro lessicografico. E non solo. “Realisticamente, la prossima uscita dovrebbe essere il secondo capitolo della trilogia di Serrapriola. Quindi preparatevi ad un nuovo giallo. Più o meno giallo, più o meno nero, ma sempre con un sorriso amaro a fior di labbra”, anticipa al nostro microfono, a conclusione di questa intervista – credo la prima, immediatamente dopo il grande successo del terzo posto del suo “Mondo è stato” al Festival Giallo Garda.

Partiamo dallo scorso metà ottobre. Sei stato finalista al Festival Giallo Garda. E sei arrivato terzo. Un risultato sicuramente prestigioso. Qual è il tuo commento e, soprattutto, il tuo stato d’animo?

Sono sereno. Momenti come questi non sono frequenti nella vita, quindi me li godo.

“Mondo è stato”
La copertina

“Mondo è stato” l’hai presentato in lungo e in largo. Cito soltanto qualche città: Mussomeli, Agrigento, Serradifalco, Palermo, Termini Imerese, Caltanissetta… Umanamente, qual è il bilancio dei tuoi incontri?

Sono felice di avere incontrato tante persone. Trattandosi di un esordio, ho sperimentato un apprezzamento ancora rivolto più alla persona che non al libro, acquistato durante la presentazione e letto dopo. Fosse possibile, mi piacerebbero sempre delle presentazioni “a posteriori”, a romanzo già letto. Sarebbe stimolante confrontarsi attivamente con il pubblico, come è accaduto ad esempio al Liceo Damiani Almeyda di Palermo, dove i ragazzi hanno letto e “vissuto” Mondo è stato prima di incontrarmi, grazie a un ottimo insegnante.

Il tuo romanzo d’esordio di cosa “parla”?

Parla di un paese uguale a tanti paesi, di destini che si rassomigliano nel tempo e nello spazio. Dunque parla dell’ineluttabilità, dell’inesorabile. Diciamo che cala in un ambiente familiare a molti quello che è il mio modo di vedere la realtà. Chi dice che io sia pessimista non ha torto, anche se non si tratta di un pessimismo passivo, tutt’altro.

C’è chi dice che Serrapriola sia la tua Serradifalco. Non tutti la pensano in questo modo. Essendo persona informata sui fatti, qual è la tua opinione?

Serrapriola è, in effetti, Serradifalco: per la sua via delle Zolfare in cui vive una deliziosa anziana di nome Nannina; perché non c’è il mare; perché c’è il bar di Melo Trirrè; perché c’è un comando dei carabinieri; perché c’è tanta chiesa e tanto potere sotterraneo. Ma, a ben vedere, per queste stesse ragioni Serrapriola è anche Montedoro, Siculiana, Grotte, Mussomeli, Racalmuto. Se avessi voluto parlare davvero e soltanto di Serradifalco non avrei cercato un nome fittizio. La verità è che in “Mondo è stato” non volevo descrivere uno specifico paese nelle sue pieghe più nascoste poiché, purtroppo o per fortuna, non conosco il mio paese natio da questo punto di vista. Per me Serradifalco è il sognante luogo d’infanzia, la radice tenace che mi dà linfa buona, non il peso fosco di Serrapriola.

Questo libro ha a che fare con il medico Giuseppe Amico. Confermi?

Tutta la mia scrittura ha a che fare con il dottore Amico, che da sempre è un lettore attento delle mie storie. La nostra è un’amicizia che ha fondamenta fatte di libri. Tutto il resto – sfincioni, mandorline, risate e affetto profondo – è venuto di conseguenza.

“Mondo è stato”
Un momento del Festival Giallo Garda

Hai una casa editrice attenta e molto vicina ai suoi autori. Ce ne parli?

il mio editore Mario Ianieri, dopo anni di pubblicazioni legate soprattutto al suo territorio (l’Abruzzo e il suo figlio più illustre, Gabriele D’Annunzio, ndr), ha voluto tentare la strada della narrativa gialla affidando allo scrittore Cacciatore e all’editor Catalano la collana Le dalie nere. È stato un gesto coraggioso ma anche intelligente, perché si è rivolto a due bravissimi professionisti. È sotto gli occhi di tutti che Dalie significa qualità: questo è testimoniato sia da esordienti capacissimi come Escheri e Rondelli, sia da scrittori di lungo corso come Barbieri e Cacopardo. Con qualche cambio di rotta, come la giornalista Sandra Rizza che si fa romanzier in Nessuno escluso. Ho particolarmente apprezzato quel libro, per il modo in cui è riuscita a dipingere una famiglia borghese sulla quale si allarga la macchia della collusione mafiosa.

Nel corso dei mesi, le recensioni al tuo libro giallo “Mondo è stato” sono state positive e lusinghiere. Riesci a fare un sunto?

Sono state davvero tante. In generale direi che, forse, se ne scrivono addirittura troppe. Io, a mia volta, cerco di centellinare le recensioni non per ritrosia ma perché capisco che scrivere di un libro “a tutti i costi” rischia di consegnare una recensione che non serve a nessuno. Per questo voglio ringraziare chi ha parlato di “Mondo è stato” con coscienza: sono in molti e mi hanno offerto una lettura del mio stesso romanzo che mi ha arricchito, talvolta illuminato su alcuni aspetti. Per tutti voglio citare Camillo Scaduto, che su I love Sicilia in edicola ha scritto davvero un bel pezzo.

“Mondo è stato” piace. So, addirittura, che qualcuno sarebbe interessato a comprare i diritti per poi farne un film. Sai qualcosa in merito anche tu?

Vero? Ma tu t’immagini? Sarebbe fantastico.

Poco tempo fa, è morto tuo padre Paolo. Purtroppo, non sta “vedendo” da vivo, ma sta “vedendo” dal cielo, il tuo percorso umano e culturale. Cosa ti direbbe, Michele?

Due dozzine di fonemi, al suo solito. Qualcosa tipo: “Ti piace quello che sta succedendo? A me pure”.

“Mondo è stato”
Michele Burgio

Quando hai scoperto la tua passione per la scrittura?

L’hanno scoperta, loro malgrado, gli altri. Io non ricordo quando ho iniziato a raccontare: ero proprio bambino, e scrivevo, scrivevo…  Al contempo ero – e sono – un attento ascoltatore delle leggende raccontate dagli anziani e un avido lettore. Pina Migliore, la mia maestra di italiano delle scuole elementari, mi ha fatto molto amare la poesia, quella vera. Senza timori reverenziali ci ha fatto leggere autori piccoli e grandi ed è riuscita, con competenza, a metterci dalla loro parte.

Chi sono i tuoi autori prediletti e perché?

Il mio autore prediletto scrive pesando le parole, non disperdendole, creando al contempo univocità e spazio semantico; le sue parole sono come quelle cartucce che allargano la rosa dei pallini dopo avere centrato il bersaglio, non prima. La metafora non è delle più felici, lo ammetto, la uso solo in quanto dilettante giallista. Per tornare alla tua domanda, getto qualche nome alla rinfusa, senza pensarci troppo e magari dimenticando il meglio: Manzoni e Verga. E i russi, Dostoevskij su tutti. Per il Novecento Svevo, Sciascia, Bufalino. Ma che opera, la Trilogia di Danzica di Günter Grass! Per la poesia sono un pascoliano convinto, e quindi Saba, un certo Caproni, Penna, Pasolini…

In merito al giallo ambientato in Sicilia, so che apprezzi oltremodo Francesco Cannarozzo da Castrogiovanni. Un autore, forse, dimenticato. O no?

Franco Enna, questo il suo nome d’arte, è stato dimenticato dai più ma non dagli addetti ai lavori, per fortuna. Il merito va dato ad Andrea Camilleri, che gli ha dedicato cinque pagine in Certi momenti. Proprio qualche mese fa ne discutevo con Fabio Stassi (scrittore per Sellerio, ndr), anche lui come me lo ha scoperto tramite quel libro. Più recentemente, ho parlato di Franco Enna con l’amico Roberto Mistretta (giornalista e scrittore mussomelese, ndr). Insomma, pare che a condividere questa passione io sia in buona compagnia.

Qual è l’ultimo libro che hai letto?

Leggo sempre contemporaneamente più libri. Ho appena finito di leggere Armida di Ugo Mazzotta, che mi ha battuto alla finale del Giallo Garda, e l’inedito di un amico giallista che mi ha scelto come “lettore beta” (ho imparato da lui questa espressione). Come letture in corso, ci sono Marietta di Vincenzo Muscarella, un autore di una piccola casa editrice che ha scritto una sontuosa trilogia siciliana, e La vendetta del perdono di Éric-Emmanuel Schmitt, una tetralogia di racconti che mi ha regalato il dottore Amico. Ma qui, in pila sulla scrivania, in attesa di essere letti vedo un libro su un eretico benedettino del Settecento; un giallo giudiziario di Michele Navarra; un libro di Svensson sul rapporto tra un padre e un figlio; alcuni racconti di Maria Messina, forse la migliore scrittrice siciliana di sempre.

Tu ami particolarmente la musica. Sei molto legato al cantastorie Nonò Salamone. Forse è stato “Favi Amari” ad avvicinarvi. È così?

Già. Quando nel settembre 2019 fui immesso in ruolo a Mussomeli, mi ritrovai con molte mattine libere da trascorrere in libertà per tessere il Vallone in lungo e in largo. All’inizio di quell’anno, l’amico Salvatore Farina mi aveva aperto le porte della sua collana “La storia siamo noi” e l’esperienza di vita di Nonò mi è subito sembrata particolarmente centrata per ricavarne un libro, che poi sarebbe diventato Favi amari. Il lungo viaggio del cantastorie Nonò Salamone (edito da Lussografica nel 2020, ndr). Abbiamo trascorso qualche mattina assieme e da allora siamo diventati molto amici.

A proposito di musica, so che hai un debole per Bob Dylan. Di solito, cosa ascolti?

Ascolto di tutto, poi seleziono. Amo molto i cantautori italiani degli anni Settanta. Un filo di affetto profondo e di gratitudine mi lega a Claudio Lolli, ma ritengo che Fabrizio De Andrè sia il più completo. Fra i cantautori di nuova generazione, apprezzo particolarmente il cantautore ferrarese Vasco Brondi, ma il mio preferito è per distacco Alessio Bondì, palermitano che canta nel dialetto della borgata di Tommaso Natale.

Adori il dialetto anche per ragioni squisitamente professionali. Ce ne parli?

Amo il dialetto siciliano come oggetto di studio, avendo per quasi tre lustri fatto ricerca in uno dei maggiori centri di dialettologia italiana. Serbo un bel ricordo di quei lunghi studi, meno dell’ambiente accademico, asfittico e talvolta misero.

Un’altra peculiarità è il cibo. Penso di non sbagliare. Qual è il tuo rapporto con esso?

Pessimo. Nel senso che il cibo è per me un’ossessione. E questo mi condurrà alla tomba, se non mi do una regolata.

Qual è la principale dote di Michele, umanamente parlando?

Non fumare e non bere quasi mai. Ecco, per non aggravare la situazione del cibo.

E il peggior difetto?

Una marea. Sono insicuro e permaloso, direi permaloso perché insicuro. Non so dire di no a nessuno e sono troppo cocciuto nel volere tenere in piedi i rapporti, anche quando so che avrò una delusione, perché ho il pessimo vizio di ritenere che possano sempre trionfare il buonsenso, la ragione.

Quale libro consiglieresti, a parte il tuo, ad un lettore?

Uno qualunque di Marco Denevi.

Che tempi dobbiamo attendere prima della nuova uscita, di un tuo prossimo libro? Potrebbe essere “’U tortu”?

No. ‘U tortu è tortu, mi sa che avrà una storia editoriale complicata, semmai vedrà la luce. Piace ai critici e agli agenti ma forse, al livello commerciale, appare una scommessa troppo complicata. Ci vuole un editore che al contempo sia coraggioso e in grado di fare la giusta promozione. Realisticamente, la prossima uscita dovrebbe essere il secondo capitolo della trilogia di Serrapriola. Quindi preparatevi ad un nuovo giallo. Più o meno giallo, più o meno nero, ma sempre con un sorriso amaro a fior di labbra.

MICHELE BRUCCHERI

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