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Pasquale Petix, sociologo e firma de "La Voce del Nisseno"

«Chi domanda giustizia deve poter credere che le sue ragioni saranno ascoltate con attenzione e serietà; che il giudice potrà ricevere ed assumere come se fossero sue e difendere davanti a chiunque. Solo se offre questo tipo di disponibilità personale il cittadino potrà vincere la naturale avversione a dover raccontare le cose proprie ad uno sconosciuto; potrà cioè fidarsi del giudice e della giustizia dello Stato, accettando anche il rischio di una risposta sfavorevole» (Conferenza tenuta dal giudice Rosario Livatino il 7 aprile 1984 presso il Rotary Club di Canicattì).            

In occasione della beatificazione che ha avuto luogo il 9 maggio 2021, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie – dando seguito alla pubblicazione già disposta dalla Commissione presieduta dall’On. Bindi – ha approvato una relazione che ha reso pubblici e consultabili i provvedimenti più importanti adottati dal magistrato Rosario Angelo Livatino.

La documentazione accompagna tutto il lavoro svolto dal “piccolo giudice” sin dall’avvio della sua carriera. Si potranno leggere i più rilevanti provvedimenti di prevenzione personale e patrimoniale emessi fino al giorno del suo estremo sacrificio.

Le Commissioni parlamentari hanno così voluto “valorizzare il profilo di magistrato giudicante e requirente, giovane e valoroso, il cui straordinario valore intellettuale si completava con doti professionali fuori dal comune”; l’atto della Commissione non vuole essere “la mera celebrazione delle preclare qualità di un magistrato tragicamente scomparso troppo presto”. Piuttosto è l’occasione per tentare di ricostruire il clima che segnava la provincia agrigentina durante il decennio tra gli anni Ottanta e i Novanta del secolo scorso. Quel territorio, ma si può dire la stessa cosa della provincia nissena, era assai difficile da interpretare, per via di un tessuto criminale in “netta evoluzione e dai tratti peculiari”.

È proprio per offrire un contributo a questa ricostruzione storica che la documentazione contiene, tra le altre cose, il resoconto di una missione svolta dalla Commissione Antimafia ad Agrigento, il 21 maggio 1990, pochi mesi prima dell’assassinio del magistrato. Di particolare interesse sono i verbali delle sedute del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica della Prefettura di Agrigento tenutesi sempre dopo la metà degli anni ‘80. La valenza storica dei verbali è provata dal fatto che si possono leggere le parole pronunziate dal giudice Livatino nel corso di queste riunioni in qualità di sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento.

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Pasquale Petix, sociologo e firma de “La Voce del Nisseno”

Le tesi di Livatino si troveranno poi nella sentenza emessa dal tribunale di Agrigento n. 302/87 dopo la celebrazione di un vero “maxiprocesso sulle mafie agrigentine”. È in tale evento che si rileva in modo specifico quanto Rosario Livatino avesse contribuito come pubblico ministero nella complessa fase d’indagine. In definitiva si tratta di documenti che danno conto non solo del contesto criminale in cui maturò il barbaro omicidio di Rosario Livatino, ma anche delle difficoltà nell’interpretare il salto di qualità della capacità criminale delle compagini (Cosa Nostra, Stidda) di cui ancora non si comprendevano a fondo le caratteristiche strutturali e la carica di pericolosità.

Come è noto, negli anni ‘80 avvenne un violento conflitto interno all’organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra, che si concluse con l’affermazione dell’egemonia della fazione corleonese. Lo sterminio iniziò con l’uccisione di Stefano Bontate e di Salvatore Inzerillo mentre Tommaso Buscetta e Gaetano Badalamenti fuggiranno dalla Sicilia. In quel periodo vennero uccise almeno più di cento persone vicine alle famiglie perdenti e la corrente criminale facente capo a Totò Riina e Bernardo Provenzano assunse il comando di Cosa Nostra.

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La locandina in occasione della beatificazione

Questi mutati assetti criminali dovevano poi riflettersi sulle articolazioni mafiose delle altre province della regione e, per quanto riguarda la provincia di Agrigento, si registrò una spaccatura interna alle varie famiglie di Cosa Nostra, caratterizzata ancora una volta dalla contrapposizione tra le fazioni tradizionali e quelle sostenitrici dei corleonesi. La ridotta compattezza delle famiglie mafiose radicate nelle varie province assieme alla rivalsa dei fuoriusciti “lasciò spazio ad altri gruppi che stringendo alleanze con questi ultimi o offrendo all’una o all’altra delle fazioni che coesistevano nelle famiglie il proprio sostegno criminale, avviarono una spietata offensiva contro le fazioni avverse, mirando a sottrar loro il controllo del territorio e delle attività illecite per riaffermare il predominio dei messi fuori famiglia o delle fazioni cosiddette perdenti e, con il loro appoggio, essere ritualmente ammessi all’interno di Cosa Nostra”. È all’interno di questa “sporca guerra” che, il 21 settembre 1990, la mafia decise di eliminare Rosario Livatino.

Non era un “giudice ragazzino” ma un magistrato che con lucidità aveva capito cosa stava succedendo. Un cittadino dalla schiena dritta. Un cristiano al servizio del bene comune.

PASQUALE PETIX

(Sociologo e docente universitario)

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