L’ANALISI. Severa, implacabile e verosimile radiografia del sociologo Pasquale Petix sui social network che rendono, sovente e purtroppo, scialba e atrofica la comunicazione di massa

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Il sociologo Pasquale Petix

Internet, i social network e la TV sono canali di informazione e di aggregazione illuminanti per tutti e in particolare per le generazioni che, prima dal biberon, hanno ingoiato tutti gli stimoli della rivoluzione digitale. I “nativi digitali” – così come vengono chiamati – oggi non sono incapaci di vivere senza il telefonino o smartphone o tablet  e non accettano di poter restare lontano da una connessione. La loro abilità è mostruosa perché ogni tecnica comporta una modalità d’uso che plasma. Tuttavia è chiaro che la validità di qualcosa (computer o altro) dipende dall’uso che se ne fa. Però non tutti accettano questa logica e diventano prigionieri volontari degli oggetti elettronici che pensano di possedere, mentre in realtà non percepiscono di essere posseduti.

In molte scuole i regolamenti prevedono che gli alunni non debbano utilizzare i cellulari durante le lezioni, però le stesse scuole – spesso per motivi di marketing – offrono in comodato i tablet. Va benissimo, ma senza una strategia didattica oltre che educativa, il rischio è che gli alunni utilizzino lo strumento elettronico per giocare, per staccarsi dalla dinamica relazionale e chiudersi nel loro mondo. Se poi si vogliono considerare i danni per la salute, gli oculisti dicono che i giovani d’oggi non sanno più vedere a distanza e non riescono più a percepire la prospettiva. Guardano un mondo rimpicciolito, ridotto dai centimetri che separano gli occhi dal telefonino che fa vedere “non il mondo reale ma il mondo in immagine, non di rado manipolato dagli operatori di mercato”.

Per la verità anche gli adulti ormai usano in modo inopportuno questi “congegni” tanto che la comunicazione di massa ha assunto la forma di una malattia: “…chi riceve un messaggio finisce per leggere le identiche cose che egli stesso potrebbe tranquillamente scrivere, e chi scrive narra le stesse cose che potrebbe leggere inviate da chiunque”. L’esito finale è una comunicazione insulsa e ripetitiva che finisce per eliminare l’utilità della stessa comunicazione a meno che, il motivo vero dei tanti messaggi che si lanciano sui social network (facebook, whatsapp, twitter) non sia quello di ricevere l’approvazione degli altri e ottenere il riconoscimento “di chi si vorrebbe essere e non si è”.

Così ci si mette “in vetrina” come si fa con la merce da vendere nella società dei consumi. Ci si mette in mostra lasciando che gli altri possano approvare o disapprovare, senza usare argomenti validi ma scrivendo un laconico “mi piace” o “non mi piace”. Il tempo della riflessione e del pensiero si spegne in quella breve  risposta emotiva. Del resto è difficile argomentare vivendo in un mondo che ha emarginato la filosofia, il sapere pensare e parlare bene.

Il linguaggio d’altro canto è specchio del pensiero. Di conseguenza se i pensieri sono poveri dobbiamo o no mettere in conto che il linguaggio dominante sia scialbo, inespressivo e atrofico così come quello dei telefonini?

PASQUALE PETIX

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