Salvatore Minnella

di SALVATORE MINNELLA – IN ESCLUSIVA. Viene ringraziata la famiglia del compianto storico e viene presentata una lirica inedita di Galletti. Per farci conoscere l’anima e la sensibilità.

Il 6 ottobre scorso ricorreva il decimo anniversario della scomparsa dell’indimenticato maestro Salvatore Galletti, scrittore e poeta, nonché pittore. Ho qui l’onore di ricordarlo in maniera non agiografica, rendendo nota e commentando una sua poesia tratta da una raccolta inedita. Ringrazio di vero cuore la figlia Maria Josè e il genero Luigi per avermi consentito di accedere, l’estate scorsa, allo scrigno letterario del poeta, dandomi così modo di esaminare e catalogare con loro, sia pure sommariamente, opere già pubblicate e manoscritti ancora inediti. Nel corso di quell’incontro abbiamo insieme letto opere di saggistica e raccolte di poesia, ma di comune accordo è nata l’idea di pubblicare almeno una di queste poesie, per far conoscere meglio l’animo profondo di questo nostro letterato.

Salvatore Minnella

Non sappiamo esattamente quando Salvatore Galletti scrisse questa poesia perché non è datata, ma sappiamo che egli era già tornato in patria nel 1946, dopo essere stato prigioniero degli inglesi nei campi di internamento in Algeria e Inghilterra. Possiamo dunque datarla tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 poiché “Miscellanea”, la sua successiva raccolta, è datata nel 1950.

Del suo travaglio interiore e della sua sofferenza esistenziale egli ci rende partecipi mettendosi a nudo con la sua fragilità di uomo, ma offrendoci con intensità vibrante la nostalgia del passato che viene sospinta con rimpianto sul presente, e poi con disincanto proiettata sulla caducità dell’immanente. Nel suo lirico e accorato richiamo alla solitudine umana, attraverso “…nembi di luce / disegnati nel buio del cielo” è possibile cogliere echi della solitudine dell’uomo (così come già mirabilmente espressa da Quasimodo), e perfino lo stesso struggimento (nella letteratura tedesca chiamato sehnsucht) che riconosciamo nei versi di Montale o vediamo riassunto nell’espressione inglese spleen.

Entrambi i termini, sia pure con sfaccettature e sfumature intraducibili, identificano la tristezza meditativa, la melanconia e il disagio esistenziale: condizioni poetiche ancorché umane che connotano fortemente, ad esempio, le opere di Baudelaire (una per tutte, il suo Fleurs du mal). Diverso dal taedium vitae che distingueva il grande Leopardi. Galletti deve avere inoltre senz’altro letto filosofi come Adorno e Kierkegaard, dibattendosi sul pensiero dell’immanente e del trascendente; perché questi temi sono presenti in quasi tutta la sua produzione poetica e, maggiormente, nella saggistica dei suoi ultimi anni di vita.

La poesia di Galletti è percorsa nervosamente dalla vena del νόστος (il nόstos greco), ovvero il tema del viaggio nostalgico qui inteso “come vespa che punge”, che gli procura “una fitta nel cuore” e lo porta a cercare, attraverso le rughe di una “mano aggrinzita”, tutto il tempo passato ripercorrendo le tappe della sua vita in un affannoso avvicinarsi e allontanarsi dal luogo natio (“Sei solo se vai se torni”).

Come novello Ulisse, che dopo avere superato mille ostacoli e avversità raggiunge Penelope e il figlio Telemaco, egli sente la nostalgia del ritorno ma registra con disarmata e pessimistica convinzione che l’uomo è sempre solo con sé stesso: “se dormi se vegli / se muori / nessuno sa farne qualcosa di te”. Nel climax ascendente delle sue strofe finali, il poeta ci fa vivere liricamente il fine: ci conduce cioè verso la consapevolezza che qualunque esperienza umana è destinata a rimanere ignorata se l’umanità non comprende i drammi e le lacerazioni interiori dell’individuo.

Con la sua ansia di trovare le ragioni della sofferenza egli guarda sé stesso dopo aver compiuto un viaggio non soltanto fisico, ma esistenziale. E potremmo qui concludere, secondo un noto proverbio cinese, che, chi torna da un viaggio – onirico o reale non importa – non è mai la stessa persona che era partita.

SALVATORE MINNELLA

 *

NEL BUIO DEL CIELO

(dalla raccolta inedita “Ricordi e canti” di Salvatore Galletti)

Brividi

nembi di luce

disegnati nel buio del cielo

come vespa che punge e scompare

una fitta nel cuore

e ti scopri a cercare

sopra un palmo di mano aggrinzita

tutto il tempo d’un giorno passato

e ti resta l’affanno incompiuto

di parole mai scritte

mai dette a nessuno.

Sei solo se vai se torni

se dormi se vegli

se muori

nessuno

sa farne qualcosa di te.

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