Francesca Giudice
Francesca Giudice

Mi sono sempre più convinto in questi ultimi anni, che solo la piccola Storia, quella dei fatti e dei personaggi “minuti”, rispetto a quella dei grandi avvenimenti, non tradisca mai uomini e luoghi. Essa, infatti, per marginale che sia, non abbandona mai il suo sguardo dal valore umano. Questo mi porta oggi a scrivere di un personaggio e di un luogo del mio paese, Sommatino, rimasti immutabili nel tempo.

Si tratta del piccolo bar “San Giuseppe”, in piena piazza, gestito dagli anni ’60 da Francesca Giudice, vedova Messana, da tutti conosciuta come “Cina la Missana”, figura discreta, cara, e familiare a tutti noi sommatinesi.

Francesca Giudice, nata a Sommatino il 20 giugno 1942, ha appena compito 80 anni e questo articolo vuole anche essere un mio piccolo omaggio, e quello dei sommatinesi, ad una persona che è ormai entrata a far parte dei simboli del nostro paese.

Nel 1961 Francesca sposa Michele Messana, licatese, di professione camionista, e va ad abitare per qualche tempo a Licata. Dalla loro unione nascono Luigi e Angela.

Nel ’64 la famiglia si trasferisce a Sommatino. Francesca non vuole stare con le mani in mano, vuol lavorare, e pensa di rilevare il bar “San Giuseppe”, allora di proprietà di Diego Vasapolli. Il marito è contrario, lui è sempre fuori con il suo camion, e ritiene che quello sia un lavoro troppo pesante per una donna sola. Ma, al ritorno da uno dei suoi tanti viaggi, però, Francesca lo mette sul fatto compiuto. Ha acquistato il bar. Siamo nel 1966. “Cina” mi dice che allora si lavorava sino alle 2.00 di notte e alle 5.00 del mattino si riapriva. A quell’ora partivano gli autobus per le miniere, e la piazza era un continuo via vai di gente. Il paese era sempre in movimento. In estate, poi, con l’arrivo degli emigrati, la Comunità diventava un affollato microcosmo.

Nel frattempo, “Cina” si era specializzata anche in prodotti di pasticceria artigianale, producendo i tradizionali ciardoni, cannoli, bocconcini, torte ed altro.

Francesca Giudice
Francesca Giudice da vice sindaca

I ricordi non possono che portarmi a quella età d’oro del nostro paese, gli anni ’70 e ’80, quando, specie nei mesi estivi, tornavano i nostri emigrati dalla Francia, dal Belgio, dalla Germania, alloggiando dai parenti. Allora non c’erano i B&B e molte case diventavano veri e propri accampamenti, con materassi a terra, sparsi in ogni stanza.

Erano settimane in cui il paese diventava un caleidoscopio di colori e variopinte fogge di vestiti, colletti a punta e calzini corti di spugna, sotto sandali di finto cuoio. Si vedevano in giro macchine di grossa cilindrata con targhe estere, con sterzi e sedili ricoperti di pelosissima pelliccia; dove non mancava mai un cagnolino di plastica, dietro il vetro del lunotto termico posteriore, che muoveva la testa a mo’ di saluto.

I “francesi”, come chiamavamo i nostri emigrati d’oltralpe, avevano la fissa del Pastis al gusto di anice, miscelato con acqua fresca o gassosa. Era il loro aperitivo prima di pranzo; che in paese era diventato via via una vera e propria moda.

Ma il bar di “Cina” mi ricorda anche le accatastate casse di legno piene di birra Messina, Peroni, Moretti (le birre estere non erano ancora arrivate in paese). Gli emigrati “tedeschi” ci avevano insegnato a versare la birra nel giusto modo, secondo una precisa gestualità, che consisteva nell’inclinare leggermente il bicchiere, in modo da produrre il meno possibile di schiuma.

Erano gli anni in cui nelle giornate estive noi bambini, con i pantaloncini corti e un ghiacciolo in mano, restavamo al sole come pomodori ad essiccare, in quelle ore di caldo (l’otta di callu la chiamavano i nostri genitori). Negli interminabili pomeriggi, il sole tiranneggiava prepotente e il silenzio era, nelle vie, il protagonista assoluto.

Dopo, però, scendeva in paese una leggera brezza di venticello, che ci accarezzava come sospiri di innamorati. La gente allora usciva per le vie a respirare quegli aliti di vento, misti a quella sensazione di frescura della sera che arrivava. Erano le ore che si scendeva in piazza, per un caffè, per una granita e il “Corso” si riempiva di giovani.

Ho voluto raccontare brevemente queste atmosfere di paese, perché forse “Cina”, e il suo bar, ne sono le ultime testimonianze.

Da quel 1966 sono trascorsi oltre 55 anni e “Cina” è sempre lì, al suo posto, nel suo piccolo bar “San Giuseppe”, dove ha passato quasi tutta la vita e dove il tempo sembra essersi fermato. Ma voglio qui ricordare che, negli anni ‘80, Francesca Giudice ha vissuto anche una parentesi politica. Candidata al Consiglio comunale da indipendente nel Pci, ottenne circa 250 voti. Con il partito non andò bene e approdò alla Dc, chiamata all’incarico di Vice sindaco nella Giunta guidata da Luigi Amore.

Chiusa quella esperienza, tornò a tempo pieno al suo lavoro. Purtroppo, qualche anno dopo avrebbe perso il marito e, prematuramente, anche la figlia. Da allora “Cina”, donna d’altri tempi, non ha più smesso di portare il nero del lutto. E così, ancora oggi, noi sommatinesi, siamo abituati a vederla ogni giorno in piazza.

FILIPPO FALCONE

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