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Lo scrittore Antonio Meola

Libro d’esordio per il giovane e talentuoso scrittore Antonio Meola. S’intitola “La fine della notte” (Helios Edizioni). Un romanzo sociale di strada, una miscellanea intrigante. “Un romanzo ‘di vita’, perché mi ispiro alla vita per scrivere, e la vita non ha un genere: è varia ed imprevedibile”, asserisce al microfono de La Voce del Nisseno (versione online).

“L’arte non ammette pregiudizi: è per poveri e per ricchi, per neri e bianchi, per eterosessuali e omosessuali, per terrestri e alieni”, dichiara ancora lo scrittore, nonché informatico, originario di Eboli (Salerno), ma che vive in Lombardia. Crede fermamente nella lealtà e nella sincerità (“possono venire solo belle cose dalla lealtà e dalla verità”, osserva). Tra le sue qualità, la pazienza: “Scrivere è un mestiere che richiede tanta, tantissima pazienza…”, sottolinea.

Antonio Meola ha in programma un altro romanzo e al termine della nostra piacevole intervista, ci fornisce qualche dettaglio. E conclude: “Ho sempre avuto la necessità di raccontare storie. Le raccontavo a me stesso, poi ho incominciato con gli altri, nei vari siti dove si sperimenta il brivido di farsi leggere”. Di questo scrittore sentiremo ancora parlare. Da più parti, arrivano pareri lusinghieri sull’autore. Non solo come artista, ma anche come persona.

“La fine della notte” è un romanzo sociale di strada. Ce lo presenti, nelle sue linee generali?

Sì. “La fine della notte” è un romanzo sociale di strada. Sociale perché ha per soggetto, e oggetto, un gruppo di senzatetto. Un po’ vengono aiutati, un po’ devono arrangiarsi… I pensieri primari sono sempre legati al presente e al passato, soprattutto al passato. Tutti e quattro i protagonisti hanno alle spalle un passato difficile, una storia che, in sostanza, li ha condotti lì, in disgrazia. Sociale, però, non deve essere un’etichetta. Ne “La fine della notte” si mescolano generi diversi: poliziesco, orrore… Mi piace definirlo un romanzo “di vita”, perché mi ispiro alla vita per scrivere, e la vita non ha un genere: è varia ed imprevedibile.

 Il protagonista, ad un certo punto, chi incontrerà?

Incontrerà Letizia Bentivoglio, una donna che si scopre essere editor di una casa editrice locale.

Poi, Letizia Bentivoglio metterà sotto contratto Massimiliano per scrivere racconti: è così?

Esatto. Letizia non vede in Massimiliano il senzatetto, ma l’artista. Ancora meglio, vede in lui l’arte. L’arte non ammette pregiudizi: è per poveri e per ricchi, per neri e bianchi, per eterosessuali e omosessuali, per terrestri e alieni (ma gli alieni leggono libri? Scusami la domanda alla Philip Dick…).

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La copertina

Chetta verrà rapita, vero?

Esatto. Chetta è un personaggio simbolico: la vittima della violenza umana; verbale, fisica, psicologica; anche la violenza, ahimè, non è mai dello stesso tipo e fa male in modi diversi; il male, però, tanto per citare la Arendt, resta comunque banale.

Arieti, dallo sviluppo delle indagini, verrà indicato come mandante del rapimento. E responsabile dell’omicidio. Poi cosa succede?

Mi ricollego alla risposta di prima, alla banalità del male. Ludovico Arieti, ex datore di lavoro di Enrichetta Signori (Chetta), viene riconosciuto come mandante del rapimento e poi come uno dei quattro colpevoli del suo omicidio. E la sua risposta qual è? Uccidersi. Questa è la risposta al male fatto. Una persona talmente violenta che non ammette l’espiazione, bensì procura altro male, ma su sé stesso. Ludovico Arieti è un personaggio violento dall’inizio alla fine, dalla prima all’ultima scena in cui appare. E nell’ultima scena in cui appare, i carabinieri lo trovano morto in casa…

Senti Antonio, gli interessati al tuo libro cosa dovranno fare per acquistarlo?

Guardare la copertina, leggere la quarta, lasciarsi convincere dalla presentazione grafica. È così che inizia il processo di seduzione con un libro. Per trovarlo, cercatelo sul sito della casa editrice Helios Edizioni e su tutti i siti dei maggiori venditori: Amazon, IBS, Mondadori, Feltrinelli… non ve ne pentirete!

Viviamo ancora in tempo di pandemia, ma l’emergenza incomincia a migliorare. Intendi promuovere il romanzo tramite presentazioni in presenza?

Hai detto bene: siamo ancora in tempo di pandemia. Purtroppo, anche a causa di questo piccolo (grande) dettaglio, sto ricevendo tanti rifiuti. C’è anche chi non si fida di una nuova voce narrante, ma li capisco: io stesso ho difficoltà a buttarmi sui libri degli altri esordienti. Però sì, mi piacerebbe molto promuoverlo in presenza. Si tratta di passare un’ora con altri lettori come me, solo che in quel caso mi troverei dall’altra parte, a presentare la mia opera… immagino che parlerei più di altri libri che del mio. Forse di marketing non me ne intendo così tanto. Ognuno ha i suoi pregi e difetti…

Riavvolgiamo il nastro e parliamo di te dagli inizi. Quando scopri la passione per la scrittura?

Ho sempre avuto la necessità di raccontare storie. Le raccontavo a me stesso, poi ho incominciato con gli altri, nei vari siti dove si sperimenta il brivido di farsi leggere. Ho iniziato con Wattpad, Typee (il sito della scuola Belleville di Milano). Il secondo mi ha aiutato un sacco a capire come diventare sul serio uno scrittore. In particolare mi ha aiutato scoprire, attraverso Typee, Giuseppe Pontiggia, grande scrittore italiano ormai scomparso e grande teorico della narrativa. È stato illuminante conoscerlo, per me.

Chi sono i tuoi autori prediletti e perché?

Per me è stato fondamentale leggere i libri di Joyce, La Divina Commedia di Dante, gli scritti di Borges e i libri di Bukowski e McCarthy. I miei autori prediletti sono coloro che raccontano storie vere, senza abusare della finzione che, si sa, c’è sempre in una storia raccontata per il pubblico. Céline, Fante, Bukowski, Miller… sono questi gli autori a cui mi ispiro. E sento che potrebbe piacermi tanto anche Roth. Non escludo che in un futuro prossimo possa diventare uno dei miei beniamini, nel campo della scrittura.

Hai origini meridionali, ma vivi al Nord. Come “vedi”, oggi, il nostro Sud?

Il Sud io lo vedo “migliorato”. Metto tra le virgolette questo termine perché intendo un progresso molto, molto lieve. Si sta finalmente prendendo coscienza della questione meridionale e tanti stanno aprendo gli occhi sull’Italia, la si vede cioè come stato unito e non diviso in Nord, Centro e Sud. Per altri aspetti, invece, non lo vedo affatto cambiato: si vota Lega come un tempo si votava Berlusconi…

Continua.

Al Sud si ha sempre la speranza di veder cambiare le cose, ma per farlo la gente del Meridione si affida sempre alle persone sbagliate. Questo si potrebbe dire, in realtà, di tutta l’Italia. Il Sud, di fatto, non è tanto distante dal resto del Paese, come non lo sono Nord e Centro: si commettono gli stessi sbagli ovunque. E prima gli italiani lo capiranno, meglio è. Non esiste una sola “terra dei fuochi”: c’è del marcio dappertutto in Italia, e il fatto che questi problemi siano emersi alla luce anche al Nord ha aperto gli occhi a molti.

Di dove sei originario?

Io sono originario di Eboli, in provincia di Salerno. Non è vero che Cristo si è fermato a Eboli, come diceva il titolo del celebre libro di Carlo Levi: Cristo direi che si è fermato molto più a nord, magari al Polo Nord…

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Antonio Meola

Che genere di musica ascolti?

Vado a sensazioni, ma cerco sempre musica rock. Le canzoni che mi trasmettono emozioni mi attirano. Quelle che non mi attirano non le ascolto, semplice.

Qual è la tua miglior virtù?

Credo sia la pazienza. Ho avuto modo di capirlo scrivendo. Scrivere è un mestiere che richiede tanta, tantissima pazienza…

E qual è il tuo peggior difetto?

Non riesco a prendere alla leggera troppe cose. Sto migliorando col tempo, ma in molte cose mi sento ancora inflessibile. Si muore, a prendere sul serio tutto. Dovrei essere più leggero, ecco.

Cosa ti commuove di più?

Il rapporto genitori-figli. Uno dei miei film preferiti, proprio per questo motivo, è Interstellar… lunghino, ma lo consiglio.

Qual è stato l’errore più grande della tua vita?

Comprare l’Ulisse di Joyce senza l’apparato critico adeguato. Credo di non essermelo goduto come si converrebbe e di non averlo capito fino in fondo, eppure è uno dei miei libri preferiti.

Quali sono i valori ai quali credi strenuamente?

La lealtà e la sincerità, sempre. Possono venire solo belle cose dalla lealtà e dalla verità.

Un’ultima domanda. Quale sarà il tuo prossimo progetto?  

Il mio prossimo progetto è un romanzo lungo la metà di La fine della notte, più piccolo, ma credo di averlo farcito con molta più roba… è abbastanza introspettivo, parla molto del mondo, non solo di un cantuccio come invece fa La fine della notte. Il genere cambierà, sarà più spinto per certi versi, per altri più leggero. Io mi sono divertito molto a scriverlo e penso che quando l’emozione parte dallo scrittore, è a portata di mano del lettore. Ai posteri l’ardua sentenza.

MICHELE BRUCCHERI

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