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Michele Bruccheri

Nelle scorse settimane, ho iniziato ad ordinare il mio archivio di interviste. Sono registrazioni importanti. Documenti sonori preziosi. Incontri con personaggi famosi e non. E mentre sistemavo questo imponente materiale, mi è venuta voglia di rivedere le relative fotografie con questi vip. Di tutti, ovviamente, ho il sonoro, ma purtroppo di tutti non ho le foto.

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Il direttore Michele Bruccheri

Ricordo nitidamente tutti gli incontri, i retroscena, i momenti peculiari… Mi dispiace profondamente, però, non avere di tutti quell’attimo immortalato, mentre intervisto o la foto di posa (prima o dopo l’intervista). Ogni attimo che si riesce a fermare, è e sarà sempre un importante ricordo da poter guardare.

Mi è capitato, solo per fare qualche piccolo esempio, con le interviste a Franco Simone, Eleonora Vallone, Pupo, Amedeo Minghi, Paola Turci, Fabio Concato, Pierangelo Bertoli… Dopo l’intervista a quest’ultimo, invece, ricordo che lo immortalai prima del suo concerto a Marianopoli, seduto sulla sua carrozzella. Di tutti questi personaggi, ho soltanto le registrazioni. Ho le loro voci. Ho la loro anima. Non ho purtroppo una foto.

Sistemando questo materiale, enorme, mi sono imbattuto anche in altri personaggi da me incontrati e intervistati nel corso del tempo: la direttrice didattica Teresa Gentile, monsignor Liborio Campione (morto recentemente), il senatore Raniero La Valle, don Luigi Ciotti, padre Ennio Pintacuda (gesuita e sociologo), Vincenzo Agostino, il professor Sergio Mangiavillano, l’onorevole Ivon Biefnot (sindaco di Colfontaine), il senatore Francois Trucy (sindaco di Tolone).

Ed ancora: l’onorevole Adele Faccio (dei Radicali), l’onorevole Pietro Folena, il senatore Carmine Mancuso, il senatore Angelo Giorgianni (magistrato), un altro magistrato, Stefano D’Ambrouso, il senatore Vito Ferrara… Insomma, l’elenco sarebbe interminabile. Perché in tanti anni di attività giornalistica, ho intervistato una miriade di persone e di personaggi.

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Eleonora Vallone

Quello che intendo esprimere, oggi, è proprio il valore del tempo e del ricordo, il valore di una foto e di un incontro. Un tempo, magari, era più arduo e problematico fotografare e fotografarsi, a dispetto di oggi. Oggi, come sappiamo, trionfa la bulimia fotografica che, sovente, appiattisce: quando il troppo… stroppia, verrebbe da dire! Internet è velocità, è anche (forse) approssimazione, superficialità, banalità. Non tutti, in verità, fanno buon uso della tecnologia, purtroppo.

Raccontare è il nostro compito, da sempre, e bisogna farlo con stile, con equilibrio, con buonsenso. Da quasi vent’anni lo facciamo con questo giornale cartaceo e poi anche con il sito web. Migliaia di articoli, di fotografie che raccontano…

Torniamo al discorso iniziale. È stato un breve tuffo nel passato. Nel “mio” passato, per quanto concerne questo ragionamento personale e professionale legato alle fotografie dei personaggi che ho avuto l’onore e il piacere, forse il privilegio, d’intervistare.

Ecco, dobbiamo possedere la storia del nostro vissuto. La storia del passato, inevitabilmente, s’incrocia con il presente. Bisogna, allora, vivere i momenti con accresciuta consapevolezza, vivere pienamente nell’attimo. Soltanto così quel momento diventa vero, più vero. Diventa realmente nostro. Un segmento di vita che ci apparterrà per sempre. Direi eternamente.

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Fabio Concato

Forse stampiano poco, ormai, le fotografie. Le guardiamo soprattutto al pc. Il tempo vola, passa velocemente. Ecco, o al computer o meglio ancora stampate quelle immagini raccontano noi stessi. Sono un frammento di ricordo di vita vis-suta. La fotografia ha davvero un potere enorme, di testimonianza ed è capace di mantenere viva la memoria.

Mi manca – lo confesso – poter vedere quelle foto non scattate ad alcuni personaggi da me intervistati. Sfogliare i miei ricordi, professionali, è decisamente bello, emozionante, appagante. Provo però una leggera malinconia per quelle foto mancanti. Ma purtroppo non si può tornare indietro!

Certo, vi sono le voci originali incise su nastro. Anche questa dell’ascolto è una bella sensazione. Ma quel vuoto di memoria di quelle immagini resta, direi, incolmabile. Grazie al cielo, vi sono le altre foto che, in parte, sopperiscono. Raccontano, emozionano, spiegano – a tratti – chi siamo stati, da dove si proviene.

Conservo tutte le mie fotografie. Tante, non tutte, sono stampate; le altre, invece, vivono nel pc. Sono file conservati con cura metodica. Ogni tanto è meraviglioso tuffarsi in quelle foto per viverle, riviverle, semplicemente per sfogliarle, ritrovarsi, ricordare, tramandare. Soprattutto nelle foto stampate c’è una poesia più unica che rara.

Una foto, dunque, ha la capacità di rendere vivo il ricordo e collezionare i nostri ricordi (parlo di quelli professionali, importanti analogamente quelli stretta-mente personali e privati) diventa un grande privilegio. Sono immagini apparentemente fredde, sono – diametralmente opposto, invece – foto che ci restituiscono un tempo che abbiamo vissuto.

Una foto, magicamente, ci fa ricordare un odore, una voce, uno sguardo… Ci sono sostanzialmente tutti i sensi. Di quei personaggi elencati all’inizio di questo editoriale, ricordo in maniera vivida tutto. O quasi. Peccato non avere fermato, con uno scatto, un attimo, un momento. Un’immagine, spesso, vale più di mille parole. È un viaggio nei ricordi.

Alcune immagini, poi, hanno un valore potente che si rafforza con il tempo, ne determinano il significato più profondo. Una fotografia che ci appartiene è sicuramente il frutto di un percorso personale, sociale e culturale. Ci fa rivivere quell’e-mozione che è memorizzata nel nostro cuore e nella nostra mente.

Mi sarebbe piaciuto “osservare” il tempo che si ferma su una foto; rivedere me e la barba canuta e lunga di Vincenzo Agostino, o gli occhi profondi color nocciola di Paola Turci, o il fascino conturbante di Eleonora Vallone, o la dolcezza di Pierangelo Bertoli, solo per fare qualche esempio. Sarebbero state fotografie che diventano ulteriore resoconto permanente di un momento speciale.

Mancano quelle foto non scattate. Inutile negarlo. Manca – a tratti – quel ponte tra passato e presente. Foto importanti, a mio avviso. Tuttavia, le registrazioni originali ci permettono di capire da dove veniamo e, comunque, ci mettono a disposizione anche le chiavi di lettura della nostra storia professionale (e umana). Preferisco più una foto che una registrazione (ma forse, se non avessi tutte quelle “voci”, scriverei diversamente).

Oggi ho voluto “cantare” la poesia della fotografia che è ricordo e memoria. Le foto, le nostre foto, sono la storia delle nostre radici e come direbbe qualcuno «servono, nel corso del tempo, a definire i diversi centri di gravità del nostro stare al mondo».

Con la fotografia scattata, si consegna il ricordo all’eterno. La foto cristallizza il ricordo, restituisce esattamente quello che ha “visto”. Ha immortalato un volto, colto un istante, un gesto, una luce, una situazione. Mi consolo ripescando quei ricordi dal mio personale ricordo! Anche ora, scrivendo, sono riemersi dettagli e sfumature.

Se è vero, come è vero, che la fotografia narra la vita, è altrettanto vero che è in grado di raccontare anche noi stessi. Questa singolare capacità di essere straordinaria forma espressiva e comunicativa ha reso, infatti, la fotografia un pregevole e valido strumento.

Nell’album di fotografie, quelle mie professionali (ciò vale per chiunque, anche per le foto personali), è racchiuso il bisogno di conservare la nostra memoria. Sistemare quelle vecchie interviste, principalmente radiofoniche, ha risvegliato in me quel desiderio di “possederle”.

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Paola Turci

Tuttavia, averne ricordo lucido e nitido è di grande importanza. Raccontando la realtà attraverso i vari linguaggi del giornalismo, diamo memoria sociale e collettiva agli altri. Ma dietro quella narrazione pubblica, c’è la memoria dell’operatore dell’informazione. E quelle foto, ne sono un prezioso tassello. Se ci sono, meglio. Se non ci sono… beh, mi ha stimolato a scrivere un articolo!

Indubbiamente, un’immagine vale più di mille parole. E la fotografia è – come direbbe qualcuno – “una storia che non riesco ad esprimere a parole”. Essa è – a mio avviso – un modo di sentire, di toccare, di amare. Ciò che cattura la pellicola, è catturato per sempre. E con questo umile inchiostro odierno, abbiamo ricatturato quel frammento di eternità.

Simonide, tanti anni addietro, ha scritto una bella frase: «La pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla». Io aggiungerei, di mio, che la fotografia è un ricordo vibrante che canta. E oggi l’ho fatto cantare.

MICHELE BRUCCHERI

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