CALTANISSETTA. Parla il sostituto commissario di Polizia. Fa parte del direttivo nazionale del Dipartimento «Legalità e Sicurezza» del sindacato e dirige l’Ufficio Minori della Questura
Una parola sicuramente abusata negli ultimi tempi, nel nostro Paese, è la parola “legalità”. Se pensiamo al suo significato e al modo in cui presunti paladini della legalità offendano ogni giorno l’elementare concetto di rispetto delle regole, non possiamo trattenere turbamento e sfiducia. Il concetto di legalità è stato spesso disatteso e il senso delle Istituzioni appare sempre più debole. La coscienza civile ed etica sono vicine al collasso.
Si corre il rischio di demotivare i cittadini al rispetto delle leggi e aumentare il senso d’insicurezza, alimentando altresì il sospetto verso le istituzioni dello stato democratico. Una cultura della legalità ben radicata e concretamente praticata costituisce presupposto imprescindibile per la rinascita di un territorio. Una società fortemente condizionata da pressioni e minacce, non può essere produttrice di sviluppo e lavoro vero. La libera iniziativa economica di previsione costituzionale non può essere soffocata da condizionamenti impropri che ne frenano l’attività e il sorgere. Questi condizionamenti pertanto alterano il mercato del lavoro ed estendono i loro “tentacoli” anche e soprattutto negli affari riguardanti la sanità, l’edilizia, l’agricoltura, i rifiuti, l’acqua e l’energia alternativa.
Qualcuno mi chiede: come mai, nonostante i successi conseguiti dalla Magistratura e dalle Forze dell’Ordine il condizionamento criminale è ancora forte? La risposta per Noi è semplice: perché sono rimasti saldi i legami e gli intrecci con un certo mondo politico, burocratico ed imprenditoriale. Pertanto il valore di un investimento sulla sicurezza e sulla legalità, in funzione di una prospettiva di sviluppo economico delle nostre aree, può essere valido se accompagnato da una rivoluzione culturale che spezzi il legame negativo fra criminalità, imprenditoria e scelte politiche, ribadendo che la lotta al crimine non può e non deve appartenere soltanto alla Magistratura e alle forze di Polizia ma all’intera collettività.
I frequenti reati contro il patrimonio indicano chiaramente che il crimine è largamente diffuso in Provincia e i collusi – ovvero i “colletti bianchi” – continuano a reggere le sorti di questo territorio. E’ necessario, quindi, l’impegno responsabile di ciascun cittadino per combattere l’omertà e riaffermare con coraggio la libertà di pensiero che tanta paura incute alle varie forme di potere, al fine di salvaguardare dignità, lavoro e progresso sociale.
Per lunghi decenni, in Sicilia e nella nostra provincia, la formazione professionale è stata programmata, senza alcun riferimento alle esigenze imprenditoriali e soprattutto senza la necessaria continuità nel lungo e medio periodo. Conseguentemente occorre un radicale ripensamento sulla formazione professionale che rischia sempre di trasformarsi nell’ennesimo spreco di denaro pubblico che produce soltanto clientele. Invece, pianificando in modo utile la formazione si potranno creare le necessarie figure professionali immediatamente collocabili sul mercato del lavoro. La formazione di nuove professionalità richiede una migliore gestione del mercato del lavoro, al fine di fare incontrare in modo lecito domanda e offerta di lavoro.
Il “caporale” come si sa, è un mediatore di manodopera, che si fa carico di governare l’attività lavorativa secondo le richieste dell’imprenditore e si sostituisce nei fatti all’ufficio di collocamento. Infatti, ingaggia per conto del datore di lavoro gli operai, stabilisce il loro compenso del quale tiene per sé una parte. La pratica del caporalato è progressivamente degenerata, trasformandosi in un’attività volta all’elusione del contratto di lavoro e allo sfruttamento a basso costo di manodopera che lavora per oltre 12 ore al giorno a prezzi di solito assai inferiori rispetto a quelli del tariffario regolamentare, senza il versamento dei contributi previdenziali e in condizioni disumane, violando anche i principi elementari della sicurezza sui posti di lavoro. Esso generalmente trova grande riscontro nelle fasce più deboli e disagiate della popolazione, ad esempio tra i lavoratori immigrati.
Il fenomeno del caporalato si è diffuso maggiormente con i recenti flussi migratori: infatti chi emigra clandestinamente o fugge da guerre o persecuzioni politiche nella speranza di migliorare la propria condizione, finisce facilmente nelle mani di queste persone, che li riducono in condizioni di schiavitù.
Infine la legge n. 148/2011 ha introdotto nel codice penale italiano il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ma persistono notevoli profili di criticità, anche in termini di effettività della tutela penale.
Mancano sanzioni dirette nei confronti dei datori di lavoro che aderiscono all’offerta di manodopera da parte dei “caporali”. Dalle nostre parti purtroppo c’è ancora chi muore di lavoro perché, versando in stato di bisogno che crea dipendenza e sudditanza, è costretto a lavorare senza alcuna misura di sicurezza. Pertanto quando la società nel suo insieme riuscirà a liberare i cittadini dallo stato di bisogno, avremo un mondo più giusto e solidale.
DAVIDE CHIARENZA